Stasera alle 21:00 su Iris c'è Alì di Michael Mann con Will Smith nei panni del leggendario pugile. Pubblichiamo per l'occasione un estratto della recensione scritta da Pier Maria Bocchi su Cineforum 414 all'interno di un corposo speciale dedicato al film. Per leggere tutto lo speciale puoi acquistare l'arretrato in pdf e in formato cartaceo cliccando qui.
Se Insider-Dietro la verità non era una denuncia contro l’industria del tabacco, né un inno alla libertà di stampa o al giornalismo integerrimo, Ali, che è tra l’altro il fratello gemello del film del 1999 in quanto a stile e impostazione dell’immagine, non è una pellicola sportiva, né un resoconto pugilistico né tanto meno un biopic. Michael Mann si è appropriato di un periodo della vita del pugile, e ne ha fatto un suo film, per dire del suo mondo, per dare la sua visione dell’universo.
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Ali rappresenta soltanto all’apparenza una sorta di tangente tematica manniana. Potrebbe apparire a prima vista un document(ari)o su un gigante dello sport, visto negli ambienti e nei luoghi in cui ha vissuto e agito, con l’aria del tempo e relative pennellate contestuali. Ma a Mann tutto questo interessa relativamente. O meglio, gli interessa, certo, sempre in nome di quell’autenticità che egli ricerca fin dall’inizio della sua filmografia, un meticoloso – al limite dell’ossessivo – lavoro di veridicità cinematografica, raggiunta con pazienza certosina e sforzi immensi. Eppure, a più visioni (come si deve fare coi film di Mann), ci si rende conto che Ali si stacca pezzo per pezzo dalla sua intrinseca essenza, che è quella del racconto di un personaggio reale e di vicende veramente avvenute, per diventare altro da sé. Ovvero, si inserisce perfettamente nel discorso autoriale manniano, pur aderendo in maniera chirurgica ai fatti. Quindi non meraviglia che, tra i mille progetti, il regista abbia scelto proprio questo.
La storia di Muhammad Ali diventa idea di mondo per Mann, che racconta con senso musicale molto più marcato rispetto
ai film precedenti. Se la traccia musicale è sempre stata un elemento organolettico essenziale nella comprensione del cinema manniano, in Ali diventa puro strumento di espressione filmico-tematica, composto per la maggioranza da canzoni edite con poca colonna sonora originale (Insider invece vedeva il contrario, con i pezzi editi ridotti a poco più di un paio). Eppure, la scelta musicale di Ali non è di carattere eminentemente epocale, ovvero una panoramica banale sui motivi del periodo, conosciuti ai più e dunque immediatamente avvicinabili e comprensibili dal grande pubblico, aiutato in questo modo a ritrovarsi, come accade spesso nel cinema (si veda, soltanto per fare un esempio vicino, l’orribile sequela musicale dell’orribile Cuori in Atlantide). Si tratta invece di una ricognizione oculata nei territori sonori opportuni per l’esposizione e la messinscena delle cose di Mann, come è sempre stato da Strade violente (o Jericho Mile, se vogliamo) in poi, anche se qualcuno si ostina a pensare che il progetto cinemusicale manniano sia banale e significativamente retorico.
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C’è un’altra parte musicale che ritengo essenziale per comprendere il senso e il significato del cinema manniano e di Ali in particolare. Quando Ali e Sonji danzano nel nightclub, mettendo in atto una bella scena di reciproca seduzione erotica, alle loro spalle avviene una splendida esecuzione di «For Your Precious Love» con la performance di Shari Watson (la cui voce è stata però sincronizzata successivamente). Quando la coppia decide di lasciare il locale per andare in stanza a consumare la passione, Mann non la segue subito, e si sofferma sul gruppo, sulla cantante e sulle coriste, sulle quali torna anche durante l’amore, continuando ad ascoltare, a guardare. Davvero, guardare, perché a un certo punto (sorprendentemente e, di primo acchito, senza senso) la cinepresa, mentre inquadra la cantante con un classico piano americano, prima le si avvicina lentamente poi si abbassa a riprenderle il busto fino alle ginocchia, tagliando fuori schermo il viso. È un attimo spiazzante, che coglie impreparati, ma non è un movimento casuale, come niente nel cinema di Michael Mann.