Una donna è al volante della sua auto in una Milano notturna. Un clacson suona, lei non fa una piega, lo sguardo che tradisce stanchezza e concentrazione. La sua meta è illuminata dalle luci delle volanti di polizia e dei vigili del fuoco: la vediamo esaminare il luogo dove è stato ritrovato un cadavere, china a raccogliere sul ciglio della strada elementi utili al suo lavoro. La donna è la professoressa Cristina Cattaneo, medico legale a capo del LABANOF, il primo laboratorio di antropologia forense d’Italia. Nella scena successiva la vediamo in compagnia di alcuni suoi studenti mentre esamina un corpo quasi mummificato, ferma nel chiedere ai giovani che le stanno accanto quali elementi cogliere che possano essere usati per il loro scopo. Perché il lavoro della professoressa Cattaneo è quello di esaminare, indagare, interrogare quei corpi senza vita per tentare una identificazione, per dare un nome a chi, oltre la vita, ha perso anche quello. Gli “sconosciuti puri”, come li chiama lei.
Il documentario di Valentina Cicogna e Mattia Colombo, che ruba il titolo a questa illuminante definizione, segue passo dopo passo, con pudore e partecipazione, lo straordinario quotidiano di questo medico in perenne movimento, che si divide tra ricerca medica e reperimenti di fondi per un obiettivo che sembra non interessare a nessuno. Tra mail reiterate (e disperate) alle istituzioni, italiane e internazionali, e attente visioni di “Chi l’ha visto?” in televisione, a monitorare il flusso quotidiano di persone scomparse e mai ritrovate, tra analisi di laboratorio e terribili incontri con i potenziali parenti delle vittime, Cattaneo porta avanti con un placido furore una battaglia di dignità che la società sembra voler ignorare. Sconosciuti puri è un film-ritratto, che assorbe su di sé i ritmi paradossalmente sospesi tra un’indagine frenetica e costante e i vuoti sospesi di un combattimento troppo spesso solitario. Cicogna e Colombo tengono Cattaneo sempre al centro del racconto – e spesso dell’inquadratura – lasciando che l’esperienza del dolore si faccia assorbire da questo medico testardo e coraggioso. Viva in mezzo ai morti, Cattaneo lotta per un’idea semplicissima: i cadaveri, che siano trovati ai margini di una strada metropolitana o tra le onde del mare di Lampedusa, sono persone con una storia che ha bisogno di essere scoperta; per lenire il dolore di chi resta a piangerli ma anche per restituire il valore a un’esistenza spezzata spesso da esperienze traumatiche e tragiche.
L’argomento è intriso di lutto e di dolore e il film si adegua adottando un tono a tratti fin troppo solenne, liturgico, sottolineando allo stesso tempo l’impegno quotidiano, fatto spesso di piccoli e ripetuti gesti. La fotografia ha i toni freddi della notte e degli obitori, la musica sottolinea – forse con qualche eccessivo lirismo empatico – l’importanza di questa battaglia solitaria. Cattaneo è una dottoressa che assume un valore simbolico suo malgrado, che è costretta a moltiplicare il proprio lavoro per motivi di etica più che di orgoglio. Cicogna e Colombo tentano, e quasi sempre riescono, a tenere una giusta distanza da questo racconto drammatico, che riguarderebbe tutti ma a cui nessuno bada, cercando un equilibrio tra il gelo delle sale dei laboratori medici e il rispetto che si deve – si dovrebbe – a ogni essere umano, vivo o morto che sia.