I pezzi del cuore: articoli, interviste, analisi e approfondimenti dall'archivio storico di Cineforum, scelti per te dalla redazione della rivista per la campagna Sostieni Cineforum
Le iene come equivalente cinematografico di un concerto jazz: la recensione firmata Gualtiero De Marinis dell'esordio di Quentin Tarantino è il pezzo del cuore scelto sia da Adriano Piccardi sia da Federico Gironi. Una chiave di lettura originalissima, che tira in ballo il jazz, un concerto leggendario, Dizzie Gillespie, Charles Mingus, Max Roach, Charlie Parker e Rocky Marciano, ma anche le camicie a fiori di Cape Fear. E alla base, la differenza tra musica (quella di Reservoir Dogs è costituita da rock anni 60 e 70) e musicalità di un film...
Mr. Pink è un nevrotico, razzista che ce l'ha con gli ebrei, le donne, gli omosessuali e le cameriere. Gli altri si chiamano Mr. Brown e Mr. Blue. La rapina va male. C'è troppa polizia, troppo presto, tutti cominciano a sparare e Mr. Brown e Mr. Blue ci lasciano la pelle. C'è il sospetto che qualcuno abbia fatto una soffiata. Durante la fuga, tra l'altro, nel tentativo di sequestrare una macchina, Mr. Orange si fa sparare dalla guidatrice che aveva la pistola pronta nel cruscotto. I superstiti raggiungono, come previsto, un magazzino vuoto in mezzo alla città e lì cominciano a litigare. Bisogna scoprire chi è il traditore e prima ancora se c'è stato un traditore (Mr. White all'inizio non è convinto). Ma bisogna anche decidere se cercare un dottore per Mr. Orange che, colpito all'addome, sanguina abbondantemente. Quando arriva Mr. Blonde le discussioni s'interrompono perché nel cofano della sua macchina c'è un poliziotto pesto, legato e sanguinante. Arriva anche Eddie che va via con Mr. White e Mr. Pink a recuperare i gioielli che Mr. Pink ha nascosto.
Restano soli il poliziotto, lo psicopatico Blonde e l'agonizzante Orange. Blonde accende la radio, accenna qualche passo di danza, poi stacca con un rasoio l'orecchio destro del poliziotto, prende una tanica di benzina e minaccia di dar fuoco al tutto. È a quel punto che l'agonizzante Orange raccoglie le forze e la pistola e fa secco Blonde. Era Orange infatti l'informatore, o meglio, il poliziotto incaricato d'infiltrarsi nella banda per sventare il colpo. Tornano Eddie, White e Pink, rientra anche in scena Joe che accusa Orange di essere il traditore, White lo difende e minaccia Joe, Eddie difende il padre e minaccia White. Per un momento sembrano un gruppo marmoreo, poi sparano tutti. Resta in piedi solo White che corre ad abbracciare Orange, il quale non può fare a meno di confessargli di essere un poliziotto. Fuori si sentono le voci della polizia in arrivo, anche se è troppo tardi per tutti.
(n.b.: più che la trama, questa è la ricostruzione cronologica della vicenda; naturalmente il film non procede così, ma oscilla a pendolo tra il “prima” e il “dopo” la rapina; il “dopo” narrato per brevi flashback, il “prima” per mezzo di veri e proprio capitoletti, con tanto di didascalia, dedicati a ognuno dei personaggi; soltanto la rapina non si vede mai, per quanto non si parli d'altro per tutto il tempo; ma raccontare il film secondo la sua esatta scansione sarebbe stato quasi impossibile)
Nel maggio del 1953 la New Jazz Society di Toronto organizzò un concerto con quello che i suoi membri avevano votato come quintetto ideale. Bud Powell veniva fuori da un esaurimento nervoso, con tanto di elettroshock. Parker s'era impegnato il suo French Semler E-flat alto e per farlo suonare dovettero aprirgli un negozio e recuperare un sax bianco non professionale. Dizzy Gillespie aveva la sua tromba, ma la sua attenzione andava per metà al risultato dell'incontro di boxe che si svolgeva la stessa sera tra Rocky Marciano e Jersey Joe Wolcott. Charlie Mingus invece s'era portato dietro un registratore. Quello che ne è risultato si può ascoltare in un doppio intitolato The Greatest Jazz Concert Ever (alla batteria c'è Max Roach). Se avete il disco in casa, mettetelo su prima di andare a vedere Le iene (per quel che riguarda il titolo, va detto che una volta tanto la distribuzione italiana non se l'è cavata male, anche perché tradurre l'originale è una fatica improba: Reservoir Dogs alla lettera vuol dire qualcosa come “cani da riserva” con l'accento posto però sull'emarginazione, anche se poi sembra che abbia un significato gergale che Tarantino in tutte le interviste insiste a non voler rivelare; non è che uno poi perda il sonno per questo: Le iene può andare benissimo.). Se il disco non lo avete vuol dire che la vostra cultura musicale è scarsa. Con grave disappunto di Gillespie che tifava per Wolcott, quella sera vinse Marciano per ko (è appena il caso di precisare che la musica del film è costituita prevalentemente da un piacevolissimo rock anni 60 che entra ed esce dalla narrazione grazie alle intrusioni di una radio; ma quella è la musica – la musicalità del film è tutt'altra cosa).
Si comincia con il tema, come sempre. Sei uomini attorno a un tavolo a discutere di niente. Parlano di Madonna, di cameriere, se sia giusto dare la mancia. La camera stacca veloce tra i primi piani. Buscemi fa lo stronzo, Keitel è serio e mediatore come sempre, tutti sono volgari, razzisti e neanche tanto simpatici. C'è da lasciare un dollaro alla cameriera, poi escono. Sembra un po' Il mucchio selvaggio quando avanzano assieme all'unisono. A partire da questa che è l'enunciazione del tema, a ognuno di loro sarà concesso un assolo. Harvey Keitel è Bud Powell/Mr. White, è il pianista, sempre affidabile e sicuro anche se i suoi tic (l'accendino battuto con lo schioccare delle dita) lasciano pensare a nevrosi passate e incontrollabili. Steve Buscemi è Dizzie Gillespie/Mr. Pink. Nevrastenico e irascibile, provocatore per forza anche a rischio di diventare antipatico. Tim Roth è Charlie Mingus/Mr. Orange, il bassista. È sempre in scena, in sottofondo, buttato per terra: anche se dimentichiamo la sua esistenza, lui è sempre lì a sostenere il ritmo. Dovesse mancare si aprirebbe il vuoto. Michael Madsen è Charlie Parker/Mr. Blonde, definitivamente maniaco, assolutamente pericoloso, ma bisogna aspettare il suo assolo per radio e rasoio perché il film decolli su altezze immmaginabili. Chris Penn è Art Blakey/Nice Guy Eddie, il batterista: è lui che sostiene il lavoro degli altri e che soltanto alla fine balza in primo piano sul palco per richiamare tutti al tema iniziale, prima del gran finale.
Naturalmente ci sono anche combinazioni ulteriori come all'inizio il duetto tromba pianoforte con Keitel e Buscemi che si puntano contro le pistole a un metro di distanza, o come nel pre-finale quando all'unisono Penn punta la pistola contro Keitel che la punta contro Tierney (che è l'organizzatore del concerto) che la punta contro Roth morente. Però la struttura essenziale è questa: tema, assolo, finale. In mezzo è successo qualcosa, un colpo andato a male, alcuni componenti della band che sono scomparsi, una serie interminabile di recriminazioni, sospetti, ma questa è già letteratura. Il film gioca facile sul trucco di non mostrare l'essenziale (la rapina andata a male) per indugiare sul prima e sul dopo. In questo senso ha l'andatura del metronomo che scandisce un ritmo, che tocca gli estremi della sua corsa e non si trova mai neppure per un attimo nella posizione centrale. Un trucco che sa già di retorica, di retrobottega teatrale e che conta poco. Quel che conta è la regola: tema, assolo e finale.
Il film di Tarantino funziona così. La struttura è già vista, usurata. La struttura è teatrale, tutti entrano ed escono dalla comune, perfino la camera spesso non osa prendere angolazioni diverse. Lo spunto è abusato, è un vecchio standard, ma l'esecuzione è di quelle da far venire i brividi. L'assolo migliore è definitivamente quello di Madsen. I suoi passi di danza col rasoio in mano prima di staccare l'orecchio al poliziotto sono un vero pezzo di bravura. Lo sguardo angelico e l'aria sorniona possono forse ricordare che 50 chili fa Madsen aveva portato dei soldi e un anello a Susan Sarandon in fuga verso il nulla (Thelma e Louise). Forse proprio per questo l'esplosione di violenza prende alla sprovvista e diventa insostenibile. Ma anche Tim Roth non se la cava male, specie quando prova da solo un chorus, una storia, quella della droga e dei poliziotti nel bagno, da fare ascoltare agli altri del gruppo. Tim Roth era quello che faceva Rosenkrantz o Guilderstern nel film di Tom Stoppard. Non è importante ricordare quale dei due, l'importante è sapere che lui non è Gary Oldman che è più bravo. Tra l'altro è lui il traditore (quello che ha portato il registratore alla Massey Hall), è lui che si becca una pallottola per caso da una che non c'entra niente. Ma qui siamo nel campo della solita attrezzistica teatrale e non c'è nulla da stupirsi. Però la fede raccolta all'ultimo momento prima di uscire doveva metterci sull'avviso. Non ci sono donne nella vita di Mr. Orange e neppure in quella degli altri. Quando Mr. White comincia a innamorarsi di lui quasi quasi non ce ne accorgiamo. Eppure anche lì, avremmo dovuto badare, durante le prove della rapina, alla solidarietà placida tra i due, al tono paterno di Keitel, fino al momento cruciale in cui Keitel va contro le regole e rivela il suo nome.
L'assolo Buscemi se lo gioca quasi all'inizio ed è di grande pulizia formale, ma non entusiasma. Così come quello di Penn molto più energico, ma allo stesso modo freddo. Non c'è niente da dire: il meglio del film se lo giocano sax, basso e pianoforte con gli ultimi due che chiudono la session con un morendo, quasi romantico, quasi da urlo.
Una piccola parte se la ritaglia anche Quentin Tarantino che, prima di ridursi al ruolo di autore, aveva studiato come attore. Nello scrivere la partitura (è la prima), Tarantino lascia intravedere inevitabilmente le sue fonti. Nulla a che vedere con Rapina a mano armata. Il film di Kubrick è un coito costantemente interrotto, è un'improvvisazione atonale e sconvolgente. Qui siamo dalle parti di un jazz profondamente moderno, ma rispettoso delle buone usanze e delle regole. Molto a che vedere con Scorsese dal quale ricopia gran parte degli esterni (Goodfellas), quasi alla lettera. La camicia a fiori di Keitel in macchina durante le prove è assolutamente la stessa di De Niro in Cape Fear. Perfino l'inquadratura è simmetrica. All'altezza del retrovisore esterno, dal basso in alto in Cape Fear per inquadrare la massa imponente di Nolte, dall'alto in basso qui per prendere dentro la figura rannicchiata di Roth. Qualcosa a che vedere ahimè con Mamet, per colpa dell'impianto teatrale, naturalmente. Difficile dire cosa sarà di Tarantino, cioè se diventerà Hoagy Carmichael oppure Rodgers e Hart. Nel frattempo una sua sceneggiatura imperniata su un gruppo di fan di un killer seriale, è già stata venduta ed è in lavorazione per mano di Tony Scott (True Romance). La sua prossima regia, mi diceva Leonardo Gandini che l'ha intervistato a Viareggio, dovrebbe essere una storia a mosaico ispirata a «Black Mask». A prima vista Tarantino sembra molto bravo nei dialoghi, ma se pensa di andare avanti con soggetti così prevedibili come questo di Reservoir Dogs, i suoi musicisti s'andaranno a cercare in fretta altri compositori.