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“Alcune persone vorrebbero andare su Marte. Noi preferiamo innamorarci”: così recitava il pannello introduttivo dell’installazione immersiva En Amour, presentata in concorso alla Competizione Immersiva della 77esima edizione del Festival di Cannes. Più che una semplice introduzione all’opera, questo verso firmato dalla stessa Claire Bardaine condensa perfettamente il senso di un’opera commovente, incentrata sul tema dell’amore e delle sue riverberazioni sull’ambiente e sulla natura.

L’invito che i creator rivolgono ai visitatori è innanzitutto quello di accomodarsi, piedi nudi ed effetti personali lasciati comodamente da parte, in uno spazio pronto a farsi teatro delle loro interiorità. Bardaine e Mondot, scenografa e compositore di formazione, concepiscono lo spazio espositivo come una vera e propria scena e propongono un dispositivo di proiezione simile a quello usato sui set cinematografici e fotografici per cancellare la linea dell’orizzonte, comunemente definito limbo. Su questo spazio proiettivo semichiuso baluginano grandi scenari naturali, metafore della storia d’amore reale e autobiografica che hanno vissuto i due autori, dall’innamoramento all’arrivo dei figli, fino alla separazione.

Gli stati atmosferici, innanzitutto climatici, richiamati da questi evocativi tableaux – il baluginare del sole tra le foglie di un albero, lo scorrere quieto e cristallino delle acque di un torrente, lo scoppio di un temporale o il rossore di un tramonto – si intrecciano inestricabilmente con le atmosfere emotive degli autori, affidati principalmente alla partitura musicale spazializzata e più specificamente alla parola poetica, declamata nell’installazione dalla voce della stessa Bardaine.

Senza usare alcun visore, un dispositivo a torto o a ragione associato a volte troppo frettolosamente all’empatia assoluta e alla prima persona ricercata a tutti i costi, En amour è un’esperienza che, più che mai, “dice io”. E lo fa immergendo il visitatore in uno spazio visivo e sonoro che, tramite il ricorso alla poesia, si apre a una dimensione intimista, personale e propriamente lirica.

E in effetti la sovrapposizione tra la contemplazione della natura e il sentimento amoroso, riecheggiando motivi classici della letteratura poetica della modernità europea – dalla Pioggia nel Pineto di Gabriele d’Annunzio alle Corrispondenze di Charles Baudelaire – diventa un dispositivo infallibile per riattivare esperienze, ricordi e emozioni vissute in maniera collettiva. Amarsi fino alla fine del mondo, bere l’acqua del mare e le gocce salate delle lacrime altrui, costruire capanne per sentire il soffio del vento: metafore di un amore eterno valido anche dopo la fine di una storia, in cui i confini della soggettività si confondono e si compenetrano con quelli dell’ambiente. Non è forse proprio da questo sentimento di panismo già caro ai poeti che potremmo ripartire per sviluppare un’attenzione maggiore verso la natura? Al posto di andare su Marte non è forse davvero meglio innamorarsi, di nuovo e ancora una volta? Con questa opera di “dolcezza potente”, come la definiscono loro stessi, Bardaine e Mondot sembrano suggerirci (anche) questo.

Frutto di una commissione “a carta bianca” da parte del Musée de la MusiqueEn Amour è tutt’ora visibile alla Philarmonie de Paris, dove rimarrà aperta al pubblico fino alla fine del mese di agosto 2024. Merita, da sola, un viaggio.