(In conversazione con l’autore)
Selezionato nel Concorso Immersivo del Festival di Cannes, Traversing the Mist conclude la trilogia dell’autore taiwanese Tung-Yen CHOU, una serie in realtà virtuale prodotta dalla compagnia Very Theatre.
In analogia con il precedente cortometraggio Kiss (2021) e come nei primi episodi della trilogia, Traversing the Mist conduce lo spettatore in un viaggio intimo all’interno della cultura gay taiwanese, portandolo a vagare negli ambienti surreali di un bagno turco e a perdersi tra i fumi e le condense della sauna e gli antri labirintici delle darkroom.
Diversamente da In the Mist (2020) e Gazing, In the Mist (2022) – la prima è una realtà virtuale in 360, mentre la seconda una performance in realtà mista – lo spazio immersivo di Traversing the Mist è aperto all’esplorazione di più utenti: l’esperienza è infatti collettiva e condivisa con altre tre persone e tutti partecipano nello stesso identico avatar.
VP - Nel suo complesso, la trilogia esplora il terreno intermediale per indagare le possibilità del teatro immersivo nel virtuale. Nelle parole di Bolter e Grusin «ogni nuovo medium trova una sua legittimazione […], perché realizza una promessa non mantenuta del medium che lo ha preceduto». Nel reiterare il leitmotiv della trilogia utilizzando media diversi, hai cercato di colmare un qualche vuoto?
Tung-Yen CHOU - Come artista, mi lascio molto guidare dalla curiosità. In origine, la trilogia non era stata pianificata come tale. Dopo aver realizzato il film in 360° [In the Mist], con Gazing, In the Mist è stato incredibile scoprire che potevo permettere al pubblico di muoversi nel teatro indossando il visore in pass-through e di percorrere lo spazio della sauna gay esattamente come accade in quei luoghi, dove si vaga e si esplora, ci si guarda intorno e si guardano gli altri, sempre in attesa che qualcosa accada. […] E così, con Traversing the Mist ho assecondato la mia curiosità di investigare le possibilità della performance nel mondo virtuale.
Nella fase di sviluppo abbiamo quindi coinvolto un performer, che ha partecipato alle prove indossando una tuta per il motion capture. Mi sono reso conto che c’era un enorme potenziale nell’avere qualcuno di vivo nell’esperienza in realtà virtuale. Allo stesso tempo, quando non c’è un’interazione diretta tra il performer e lo spettatore, la presenza di quel performer sembra virtuale, quasi come se fosse un NPC (non-playable character). Nell’interrogarmi sull’essenza del teatro in XR, ho cercato di individuare l’interazione più adatta a questo tipo di esperienze che fosse anche la più pratica, dovendola eseguire fino a 8-10 volte al giorno (tanto che alla fine abbiamo creato la versione senza il performer dal vivo), evitando il linguaggio dei videogiochi. Inoltre, nella VR in 360 – che è un tipo di esperienza molto personale e intima – mancava l’esperienza collettiva.
VP – L’esperienza di Traversing the Mist invece è collettiva. Qui, l’avatar è uguale per tutti. Questo piccolo trucco sembra quasi essere la chiave di accesso all’esperienza, nella misura in cui ci consente di essere presenti e di avere un corpo che performa per l’altro, e allo stesso tempo ci permette di popolare insieme agli altri avatar il bagno turco, mentre ci aggiriamo come curiosi voyeurs. Come hai avuto questa idea?
Tung-Yen CHOU - Sono sempre stato affascinato dal fatto che la creazione digitale permette la duplicazione. In un mio precedente lavoro [Chronicle of Light Year: Taipei-Copenhagen] ho creato diversi labirinti usando soltanto la figura del protagonista che si muoveva sul palcoscenico insieme ai suoi ologrammi. Lavorando su Traversing the Mist, non ho scritto né la scena, né i movimenti del performer. Volevo però inserire l’elemento del gigante, la stanza/corpo in cui entriamo alla fine dell’esperienza. Inoltre, sapevo di voler giocare con il concetto di scala. Per questo, a un certo punto nell’esperienza realizziamo di trovarci dentro noi stessi. O almeno, questa è una delle possibili interpretazioni del finale. Mi interessava trasporre la sensazione di sentirci persi in noi stessi […]. L’essere tutti uguali rende molto più significativa la ricerca di sé stessi. Poi, di fatto, non si trova nulla. Cosa stiamo cercando, in fondo? Troviamo tante chiavi. Sono delle risposte o aprono un vaso di Pandora?
VP – Di tanto in tanto, mentre compiamo questa personale ricerca siamo invitati a raggiungere l’ascensore. Il nostro viaggio negli ambienti del bagno turco inizia da lì, ogni volta. L’ascensore è il luogo dell’attesa, dove si accendono incertezze, curiosità, aspettative ed eccitazione. In che modo, il passare del tempo si innesta con l’esplorazione dei diversi livelli della storia?
Tung-Yen CHOU – Nel finale, il tuo avatar invecchia e sparisce. In effetti, nell’ascensore trovi già questa indicazione. Ti accorgi che il tempo sta passando perché l’ascensore è ogni volta visivamente più datato e deteriorato. Volevo creare un’atmosfera decadente e allo stesso tempo trovavo interessante il senso di attesa: quando ci si trova in ascensore con altre persone, lo spazio è ridotto e ci si sente a disagio, vogliamo che il tempo scorra […]. L’ascensore è un primo portale per entrare nei diversi livelli della storia e in qualche modo anche lo spogliatoio serve uno scopo simile.
VP – Le meccaniche dell’interazione si intuiscono subito, risultando molto naturali. Da questo punto di vista, nella progettazione dell’esperienza sembra ci sia stato un lavoro di sottrazione. È così?
Tung-Yen CHOU – Uso un esempio molto pratico. Gli spogliatoi sono il luogo dove ciascuno custodisce la propria identità. Inizialmente, avevamo inserito negli armadietti molti oggetti personali, come zaini e vestiti. In verità, tutti questi elementi avrebbero appesantito l'esperienza con una grande mole di dati e abbiamo optato per una semplificazione, scegliendo pochi elementi significativi. [...] Quando gli spettatori si accorgono che possono prendere degli oggetti, è certo che proveranno a interagire con tutto. Per esempio, nelle docce molti provano a prendere lo shampoo e altri oggetti ma non sì può interagire con tutto quello che trovi [...]. A volte, per indicare la possibilità di interazione, gli oggetti si illuminano leggermente. Questo genere di segnali è però limitato al minimo.
VP – E così anche l’interazione.
Tung-Yen CHOU – Un mio amico mi ha chiesto: se ci sono così tante chiavi, perché non posso usarle per aprire qualcosa? Forse, lo scopriremo nel prossimo capitolo. Per me è molto difficile definire concluso questo progetto, in qualche modo sto ancora cercando il linguaggio [...].