Negli ultimi anni, la leggenda della llorona è stata più volte utilizzata anche da serie televisive e film di produzione americana. Uno, La llorona - Le lacrime del male, 2019, diretto da Michael Chaves e prodotto da James Wan, si è di recente visto anche sugli schermi italiani. Fuori dall’America centrale, però, quella della donna che, dopo aver perso i due figli, torna per uccidere o rendere pazzo chi ascolta il suo lancinante pianto, resta una leggenda poco nota. Al cinema soprattutto l’abbondante produzione di b-movies messicani che si è nutrita di questo mito, trovandovi una delle principali fonti dell’horror locale.
Si parte da La llorona (1933) di Ramón Peón e si passa poi per numerosi altri titoli che, talvolta, non hanno esitato a mischiare questa leggenda con generi della più varia natura (dal melodramma de La herencia de la llorona, 1947, di Mauricio Magdaleno, al western de El grito de la muerte, 1959, di Fernando Méndez sino al filone tipicamente messicano dei luchadores, come in La venganza de la Llorona, 1974, di Miguel M. Delgado).
Quello che si è visto a Venezia, inserito nella selezione delle Giornate degli autori, non è però un pastiche alla messicana, ma una rilettura del mito che utilizza con molta consapevolezza gli strumenti del cinema di genere in chiave esplicitamente politica. La scelta non appare estemporanea. Uno dei motivi che sono alla base del mito è infatti il conflitto tra conquistadores e indios: in origine, la llorona è una donna india, che dopo essere stata sedotta e ripudiata da un nobile spagnolo per punire l’uomo uccide i figli nati dalla relazione e poi impazzisce per un dolore che non ha mai fine.
Jayro Bustamante, regista guatemalteco di cui in Italia si era già visto il pregevole Vulcano (2015), aggiorna questo conflitto, innestando i richiami al mito della llorona su una storia che si svolge durante i processi per genocidio intentati contro i vertici del Guatemala responsabili dello sterminio e della sistematica spoliazione del Pueblo Ixil (il Monteverde del film è chiaramente ispirato a José Efraín Ríos Montt, più volte a capo dello stato centroamericano, a cui, come al protagonista, venne comminata una condanna per genocidio poi annullata). Il ritorno della llorona si produce dunque nella mente ormai vacillante dell’anziano ufficiale e in quella, sempre più invasa dai rimorsi, della moglie, la quale, dopo aver accettato come normale la violenta sottomissione degli indios, finisce ora per identificarsi, negli incubi notturni, nelle donne di cui il marito e gli altri militari avevano brutalmente abusato.
Il regista imposta il film unendo realismo e accenni ad atmosfere horror, dando vita a un racconto che alterna misteriose ellissi e momenti opportunamente didascalici (la lunga deposizione al processo), facendo sì che dimensione reale e dimensione fantastica si fondano in modo inestricabile (come nelle manifestazioni dei famigliari dei desaparecidos, al cui interno sembrano apparire, con i loro sguardi interrogativi, le stesse vittime delle violenze).