Concorso

Sybil di Justine Triet

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Sybil è un film brulicante. Brulicante di temi, di spunti, di spinte, di linee narrative, di personaggi che si sovrappongono e intersecano girando e rigirando. Gli interni parigini dominano la prima metà, nella quale la protagonista si presenta come una donna che ha sofferto ma che è stata capace di lavorare sulle sue ferite, di curarle fino a farle cicatrizzare. Sybil (Virginie Efira), psicanalista con un passato da aspirante scrittrice, ormai pacificata con i suoi conflitti interiori, decide di rimettersi a scrivere; per questo lascia quasi tutti i pazienti ma quando Margot, giovane attrice incinta sull’orlo del baratro, la contatta, non se la sente di negarle il suo aiuto. Nell’inaspettata relazione con Margot (Adèle Exarchopoulos), Sybil si ritrova faccia a faccia con i suoi fantasmi (l’amore, la maternità, l’alcool) e le ferite si riaprono. La spirale la inghiotte a tal punto che per la seconda metà del film la scena si sposta a Stromboli (hélas!) sul set dove sta lavorando Margot, insieme all’attore protagonista (Gaspard Uillel), l’amante, con la regista, la compagna. Sulle pendici del vulcano l’equilibrio di Sybil esplode nuovamente facendo rimpiombare nelle tenebre e nella sofferenza.

Triet affida ancora una volta al suo alter ego Efira questo ennesimo ritratto di donna in chiaroscuro, bellissima, magnetica ma anche fragile e profondamente ferita. Punta in alto ispirandosi – dice - ad Altman, a Minelli, ad Allen ma senza riuscire a tenere le fila di nulla e senza nemmeno sfiorare né la coralità, né l’umorismo, né la raffinatezza di nessuno di loro. L’intreccio diventa infatti un nodo gordiano inestricabile, in cui i temi si moltiplicano e si confondono: il doppio, il transfer, la psicanalisi, la dipendenza, la maternità, la famiglia, l’identità ma anche la narrazione, il vampirismo del narratore, il rapporto tra finzione e realtà… tutto si ammucchia senza motivo e senza logica in una sceneggiatura scomposta e approssimativa che compromette inevitabilmente il tutto. E il film finisce per affondare su se stesso, come un casa minata alle fondamenta da un operoso e brulicante termitaio. Dommage.