“Il calcio è uno sport di squadra” è un mantra che chi si occupa di sport sente ripetere fino alla nausea. Ma il calcio è anche – e soprattutto – un immaginario, una narrazione che si alimenta con le gesta dei singoli campioni. Una finta, un movimento, un lampo di genio, un gol: epifanie singolari che restano impresse nella memoria.
I ricordi degli appassionati – degli amanti – operano un continuo montaggio di suggestioni, di momenti epici, di emozioni scolpite nel tempo come in un flusso ininterrotto. Un’opera di erosione che cancella i momenti di stanca, di riposo, d’immobilità per trasformarsi in storia, a volte in leggenda.
Zidane – Un ritratto del XXI secolo di Douglas Gordon e Philippe Parreno fa il contrario. Nell’epoca degli highlights dilata in maniera parossistica il tempo percepito di una partita. Lavora come una sineddoche: elegge una parte del gioco per elevarla a simbolo del tutto, e questa parte è Zinédine Zidane.
La partita è Real Madrid – Villareal, campionato spagnolo, 23 aprile 2005. La legge principale di ogni ripresa calcistica è una: seguire sempre la palla. La regola vale per le dirette televisive delle partite ma anche per la finzione cinematografica. I film sul calcio hanno tutti al centro dell’inquadratura il pallone, l’azione che si sviluppa, la finalizzazione a sorpresa, la speranza di un gol, una frenetica tensione emotiva.
Gordon e Parreno fanno un’operazione antropocentrica e restituiscono all’uomo – al campione – la sua focalità tolemaica. Lasciano perdere la palla e inseguono Zidane, ne scrutano i colpi di classe come gli errori, gli spunti esplosivi come i momenti afasici. Decontestualizzano l’intima essenza del calcio dal suo carattere puramente agonistico. Disegnano un uomo solo che gioca in un tempo e in uno spazio circoscritti e gli appiccicano addoso un microscopio, regalandogli un valore astratto e un senso simbolico.
La musica dei Mogwai sonorizza il corpo astrale di un fuoriclasse, sospeso tra l’interazione con i compagni e una criptica solitudine. Un film-teorema che concretizza il fattore ipnotico dell’esperienza calcistica – capace di essere ogni volta uguale ma diversa – nella sua stratificata meraviglia estetica e metaforica. L’importante è però saperla guardare nel modo giusto.