Tra le visioni più sorprendenti del FID Marseille, oltre alla notevole opera prima firmata da Charlotte Serrande, 1048 Lunes, due film svelano con estrema precisione il legame di un popolo – numeroso o sparuto che sia – con la propria appartenenza alla terra di origine.
Lutte Jeunesse di Thierry de Peretti e Braguino di Clément Cogitore, pur affrontando in maniera sostanzialmente differente il sentimento di identificazione degli uomini col proprio territorio – “io sono la terra che abito” – ne mostrano con intelligenza il lato anti-sistemico, ribelle, in totale opposizione alla globalizzazione, non solo economica, ma soprattutto culturale.
Lutte Jeunesse nasce come assemblaggio, straordinariamente acuto, del casting di Une vie violente, sempre di de Peretti (presentato all’ultima Semaine de la critique di Cannes). Per poter girare il suo film, che tratta il separatismo corso, o quantomeno l’adesione a azioni mirate a ottenere il riconoscimento dell’indipendenza della Corsica dalla Francia, il regista aveva cercato attori non protagonisti tra giovani corsi dell’età compresa tra i venti e i trent’anni. I ragazzi che si sono presentati alle audizioni provengono da ceti diversi e da esperienze diversissime le une dalle altre. All’intellettuale laureato e estremamente razionale si affianca un giovane uomo da poco uscito dal carcere e senza istruzione, ragazzi che hanno viaggiato e vissuto altrove vengono contrapposti a altri che non hanno mai lasciato l’isola, nemmeno per le vacanze.
Ovviamente, e questo dipende dal narcisismo e dall’ingenuità dei singoli, alcuni rendono il racconto della loro vita più romanzesco, mostrandosi coraggiosi e virili, nella speranza che la partecipazione a un film possa permettere loro di cambiare la propria esistenza; altri, più lucidi e discreti, parlano con convinzione di cosa significhi essere corsi (non francesi). Non mancano le ambiguità, anzi verrebbe da dire che tutto il film poggia sull’ambiguità, non solo di chi parla, ma anche di chi filma, il quale, assumendo e accettando il sentimento di fascinazione nei confronti di questi uomini e delle loro convinzioni e pur riuscendo a mantenere una certa distanza, non si mette mai nella posizione di colui che giudica o, peggio, di chi legge le loro dichiarazioni in maniera moralista; al contrario ne rispetta il punto di vista e i comportamenti, lasciando che lo spettatore, anche il meno preparato sulla questione corsa, veda i molteplici aspetti che portano queste persone a pensare e agire in tal modo.
L’evidenza che accomuna questa gente è il legame pre-politico alla loro terra e di conseguenza una lotta che ha delle conseguenze politiche, o meglio, può canalizzarsi in un discorso politico, pur nascendo da qualcosa che politico, in senso stretto, non è, ma fisico, sanguigno, familiare, culturale.
Qualcosa di simile accade nel film di Clément Cogitore, Braguino, che si è aggiudicato ben due premi: la Menzione Speciale della Competizione Internazionale e la Menzione Speciale del Premio dei Licei.
Una famiglia, parte di una comunità patriarcale della Siberia, vive di caccia e di pesca. I bambini non vanno a scuola ma aiutano il padre a recuperare il cibo e a fare piccoli lavori. Sono dei bambini già adulti, i cui giochi imitano i gesti e le dinamiche dei grandi. Dall’altra parte del fiume vive un’altra comunità, simile, regolata dalle medesime leggi, ma opposta, dunque nemica – per la carenza di cibo, per il territorio non accogliente, per il clima rigidissimo, che non permette coltivazioni e che rende le condizioni di vita assai ardue. Ognuno di loro difende il proprio territorio, minuscolo, che diventa la heim, la casa nel senso di patria, dalla quale non migreranno e che difenderanno a costo di morire dal momento che quell’appezzamento di terra, col bosco e il fiume, è letteralmente la loro esistenza, donando loro sostentamento, riparo, vita.
La piccola popolazione che Cogitore segue è assai più omogenea, selvaggia e “estrema”, se rapportata alle abitudini occidentali, rispetto ai ragazzi filmati da de Peretti, rendendo ancor più evidente come la lotta per la difesa di un luogo e il senso di appartenenza al luogo stesso siano assolutamente pre-politici.
Con sguardo affascinato ma estremamente rispettoso – anche in questo caso non si percepisce mai un giudizio paternalista o una posizione “sbilanciata” per questioni culturali – Clément Cogitore segue discretamente la vita di questa famiglia, rendendo però evidente come il vero nemico non sia incarnato dalla comunità identica e opposta ma dai bracconieri, che non solo giungono con la volontà di appropriarsi di un territorio e dei beni che quel territorio produce, ma anche di portare, in un certo senso, la globalizzazione in un luogo che ancora non la conosce e non ne è stato toccato.
La lotta di queste due comunità (o popoli) diventa dunque, più sottilmente, una lotta contro il tempo, contro il livellamento culturale, a favore del riconoscimento di un’identità che è separazione ma è anche, ambiguamente, resistenza.