All’interno di un documentario “naturalista” (per quanto questa parola e anche documentario possano adattarsi alla poetica del suo autore), Werner Herzog tralascia il soggetto della sua ricerca, cioè i vulcani attivi e i loro fiumi di lava e magma, e si concentra sulla propaganda nord coreana, sui suoi meccanismi e le sue iconografie. Non è una digressione: è il cuore di Into the Inferno, il nuovo film del regista tedesco prodotto da Netflix e presentato dalla Festa del Cinema di Roma.
Assieme al vulcanologo Clive Oppenheimer, conosciuto durante le riprese di Encounters at the End of the World, Herzog gira il mondo per andare a cacciare i vulcani più importanti, quelli più distruttivi, non solo quelli che regalano immagini spettacolari, ma soprattutto quelli attorno a cui si sono create mitologie, eletti dall’uomo come cardini nella costruzione millenaria della civiltà. Oppenheimer fa da guida scientifica, Herzog cuce i fili riflessivi, antropologici e concettuali col suo inglese dal pesante accento teutonico, gli uomini che intervista aprono loro le porte di un rapporto profondo tra uomo e natura.
Che è un rapporto del tutto politico e culturale, costruito reinterpretando le superstizioni ancestrali alla luce distruttiva delle eruzioni: dall’arcipelago delle Vanuatu, in cui si crede che gli spiriti vivano nel vulcano permettendogli di bruciare, all’isola di Tanna, che dalle ceneri ha creato il culto di John Frum (semidio di origine statunitense che ha ispirato film come John From di Joao Nicolau o anche Joe contro il vulcano), Herzog utilizza la forza delle immagini naturali per esplorare ciò che l’uomo crea partendo dalla natura, in modo più diretto e composto rispetto al suo cinema passato, ma capace di aperture impreviste.
Il senso sacro e soprannaturale della natura (ma non solo, basti pensare al modo in cui si interpreta Internet in Lo and Behold) si consolida paradossalmente proprio in quel monte Paektu da cui nasce la mitologia nordcoreana del grande leader, da cui “sgorga” la propaganda che invade tutta la nazione, che informa ogni elemento della vita locale e richiama le figure spirituali e religiose di altre nazioni. E quando Herzog, con uno scarto avvincente, comincia a raccontare gli effetti della propaganda sull’uomo paragonando gli umani ai pixel di una visione (nelle monumentali manifestazioni di piazza o nelle celebrazioni allo stadio), riprendendo le persone allo stesso modo con cui rimane basito di fronte al magma, si capisce il senso di Into the Inferno, il disegno di una fenomenologia umana creata dalla natura e di una mitologia naturale tracciata dall’uomo.
Un film fluido, sfaccettato, appassionato e dal sottile ghigno herzoghiano (come quando parla di sé attraverso i suoi film ad ambiente vulcanico), in cui lo stupore e la consapevolezza trovano un equilibrio e una forza espressiva tra le più alte del recente cinema del regista.