Questa sera su Rai 5 (canale 23) alle 21:15 Before Midnight, film del 2013 e terzo capitolo (dopo Before Sunrise e Before Sunset) della trilogia di Richard Linklater, con protagonisti Ethan Hawke e Julie Delpy. Pubblichiamo integralmente quanto scrisse Paola Brunetta su Cineforum 530.
Confesso che è difficile, per me, iniziare questa recensione perché Before Midnight, terzo film della trilogia di Linklater su Céline e Jesse, mi ha lasciato piuttosto perplessa. L’ho trovato ridondante nel suo chiacchiericcio continuo, eccessivo nell’evidenziare, amplificandoli, certi aspetti dell’amore e delle relazioni e alcune caratteristiche dei protagonisti, forzato nel trovare a tutti i costi, nell’ultima parte, il pretesto per una rottura da ricomporre. Anche perché avevo amato molto i due film che lo hanno preceduto: Prima dell’alba per la freschezza dell’incontro tra due ventenni, lui americano lei francese, che passano una notte a Vienna prima che le loro strade si separino forse per sempre, incontro che fa nascere un amore che non sappiamo se si svilupperà, Before Sunset – Prima del tramonto per la leggerezza e la capacità di sintesi, che sa di Allen prima ancora che di Rohmer, con cui è raccontato l’incontro dei protagonisti a Parigi dopo nove anni da quel giorno e per la naturalezza con cui vivono questo loro ritrovarsi che, come si vede nel terzo film, cambierà la vita a entrambi. Mi sembrava, questo film, un oggetto da prendere o lasciare: o lo ami o lo odi, e propendevo per la seconda.
In realtà presenta molti aspetti interessanti e le quattro parti di cui si compone, tre se consideriamo la passeggiata e la sequenza dell’albergo come unite, sono diverse anche qualitativamente. Dovendo valutare ciascuna di esse, attribuirei un voto pieno alla prima (aeroporto, auto, sosta al market e arrivo a casa), che introduce alle tematiche del film sintetizzando i percorsi dei protagonisti nei nove anni che lo separano dal precedente, boccerei la seconda (la sequenza del pranzo con gli amici), troppo intellò e didascalica nel voler sviscerare tutte le possibili variazioni dell’amore (e del sesso) contemporanei, e riterrei la terza, che trovo forzata nella volontà, da parte di Céline, di guastare l’atmosfera frizzante che si è creata con il compagno e di mettere in crisi il rapporto, comunque interessante per i temi che presenta, che sono poi quelli del film: lo scorrere del tempo e la fugacità del nostro passaggio su questa terra e così anche dei nostri amori, l’età che avanza, quindi, e che distrugge il fascino che aveva caratterizzato i nostri vent’anni, le nuove responsabilità che l’età impone, specie se ci sono figli che costringono a una vita che non è esattamente quella che da giovani si sperava di fare, la realizzazione personale e professionale e la differenza, in questo, tra uomini e donne, mondi opposti spesso inconciliabili.
In particolare emerge lo scontento di Céline che, prendendo spunto dal fatto che Jesse vorrebbe in qualche modo ricongiungersi al figlio che vive negli Stati Uniti, crede (vuole?) che la relazione tra loro sia finita ed esprime forse per la prima volta in maniera esplicita al compagno tutto il peso della maternità e della cura delle figlie, che ha sostenuto lei.
Ed è un po’ questo, il film: se il primo episodio della trilogia era un incontro che poteva rimanere tale e il secondo era la concretizzazione dell’amore che lì era nato, questa terza parte della storia di Céline e Jesse è quella che mostra la stanchezza, il disincanto, la difficoltà per due quarantenni con figli a mantenere la loro relazione e a sostenere il peso delle incombenze quotidiane, gravato dalla consapevolezza, per la donna, di aver rinunciato a una parte della propria realizzazione (la musica), e per l’uomo di rinunciare a una parte di sé (la vicinanza al figlio).
Reso, come si diceva, con parole parole parole, dialoghi serrati che sembrano a tratti improvvisati ma che sono invece il risultato di una sceneggiatura precisa scritta a sei mani (Linklater – Delpy – Hawke, come nel film precedente), con sequenze lunghissime che dipanano anche qui le situazioni nel rispetto delle unità aristoteliche, con un lavoro attoriale studiatissimo e frutto di un’alchimia di anni tra i due attori/sceneggiatori (e cineasti), e tra loro e il regista. Senza contare gli elementi autobiografici: la Delpy vive attualmente negli Stati Uniti e ha diretto, tra gli altri, 2 giorni a Parigi seguìto da 2 giorni a New York, Hawke ha scritto davvero i due romanzi che, con titoli diversi, vengono citati nel film.
E poi c’è Linklater: regista eclettico, indipendente, alterno nei risultati ma meritevole senz’altro di attenzione, per la voglia di sperimentare generi e stili e per la curiosità con cui, come Michael Winterbottom in altri termini, da sempre li indaga.