Questa sera su Paramount Channel alle 21:15 c’è Belli e Dannati, forse il cult movie per eccellenza di Gus Van Sant. Siamo andati a vedere cosa ne scrisse la rivista ai tempi dell’uscita in sala e abbiamo trovato questo interessante pezzo firmato da Fabrizio Liberti – da Cineforum 314 del maggio ’92 – di cui pubblichiamo un lungo estratto (il pdf completo è disponibile qui).
My Own Private Idaho (ci si risparmi la citazione del titolo italiano Belli e dannati, che oltre a travisare lo spirito del film conferma la cronica idiozia di alcuni distributori italiani) è l'ultima creatura di Gus Van Sant, uno degli autori più interessanti che la galassia del cinema indipendente americano è oggi in grado di offrire. Costruito come un «road movie» dalla rigorosa circolarità, il film mette in gioco tutto un universo di sogni, emozioni e fantasie private dei due giovani protagonisti, proiettate sullo sfondo dell'America post-reaganiana di oggi. Con My Own Private Idaho,Van Sant prosegue la sua personale esplorazione e vivisezione del mondo suburbano e notturno popolato da giovani e meno giovani devianti, tra i quali regna incontrastata la prostituzione, la droga e l'emarginazione. Un mondo che gli è familiare, che egli ben conosce e che analizza con rigore quasi antropologico. Dovendo aiutare Keanu Reeves ad entrare nella parte di Scott, Van Sant si trovava in difficoltà, quando ad un certo punto l'illuminazwne lo ha folgorato «Scott sono Io!».
In quasi tutti i suoi lavori precedenti, corto o lungometraggi non fa alcuna differenza, Van Sant aveva utilizzato matrici letterarie forti, da Curtis a Ginsberg, a Fogle, sino a William S. Burroughs, vero nume tutelare dell'opera di Van Sant. In My Own Private Idaho due sono gli a utori che prepotentemente entrano in gioco nella costruzione della sua struttura narrativa: William Shakespeare e Lewis Carroll. Se il primo ha una paternità solare, evidente e conclamata, le tracce che segnalano la presenza del secondo sono più sommesse e strettamente legate a quella sottile ma resistente traccia onilica e psicoanalitica che sottende a tutto il film. Se le basi del film occhieggiano a precisi modelli narrativi, l'abbellimento, la forma, mette in gioco tutta la sua esperienza precedente di cineasta e un continuo riferimento ad altri autori, che manifestano in modi e intensità diverse, la propria presenza e influenza.
My Own Private Idaho nasce dalla confluenza di tre storie brevi; nella prima Van Sant aveva pensato solo ad una versione modernizzata dell'Enrico IV, avendo ben preciso dinanzi a sé il modello wellesiano di Chimes at Midnight. La seconda storia, intitolata My Own Private Idaho, aveva come protagonisti due cugini chicanos, dei quali uno narcolettico. La terza, Blue Funk, aveva al centro della sua attenzione due giovani, Mike e Scott; ancora con la presenza della narcolessia ma non erano previsti viaggi e Scott non era così ricco. In realtà già con Switzerland, il film diario realizzato nel1986, Van Sant aveva affrontato temi e personaggi poi sviluppati qui. Protagonista era Mike Schweizer, un ragazzo di strada figlio di un possidente svizzero, interpretato da Michael Parker che in My Own Private Idaho recita il ruolo di Digger, uno dei compagni di Scott e Mike.
Inscritto in un meccanismo dalla rigorosa circolarità – il film inizia e termina con un attacco di narcolessia di Mike lungo le strade dell'Idaho – My Own Private Idaho procede formalmente tra la ricercatezza di un ritratto barocco e la crudezza del realismo documentario. Struttura portante della narrazione è una visione diadica in perenne oscillazione tra e realtà, normalità e marginalità, ricchezza e povertà, intimità e distanza, consapevolezza e inconsapevolezza, primi piani e panoramiche. Mike e Scott sono i due poli attraverso cui si svolge questa oscillazione. Mike è alla ricerca di una normalità negata che si illude di raggiungere tentando di ritrovare una madre da troppo tempo perduta. Al contrario, il narcisistlco Scott, il cattivo e al tempo stesso di desiderio del film, cerca di affrancarsi momentaneamente dalle proprie radici di ricco borghese, e la sua qualità è quella della distanza; nonostante qualcosa di profondo lo leghi a Mike, egli non riesce mai a entrare veramente in comunicazione con lui, a dare tutto se stesso e la sua dimensione resta legata al particolare.
La dimensione onirica che attraversa tutto il film resta intimamente legata al personaggio di Mike. La casa, i ricordi sbiaditi e sgranati come un video super 8, di una infanzia segnata dall'abbandono materno, sono elementi su cui essa è costruita. La narcolessia è la risposta fisiologica alla sua impossibilità di connettere la dimensione onirica con quella del reale. Nel momento in cui le immagini sbiadite della madre rinvengono potentemente, tanto da confondersi con quelle del presente, la psiche di Mike cortocircuita: il suo apparato psichico, non riuscendo più a discernere, stacca i contatti onde preservarlo da danni ulteriori. Mike è un personaggio miope, privo di consapevolezza, ed è proprio questa mancanza che paradossalmente preserva la purezza della sua anima. A proposito della sua miopia, Van Sant ha raccontato il curioso episodio a proposito di una sorta di acrostico che un suo amico fece utilizzando il titolo del film; egli scrisse MY, poi O(wn)P(rivate)I(daho) e infine iniziò la frase seguente con una C, ottenendo la parola MYOPIC.