«Mi guardò come si guarda uno scemo, ma la cosa continua a non ferirmi. In fondo aveva ragione»
È lo stesso Ed Crane, poco prima di morire, a raccontarci la storia della sua vita, pronta per essere pubblicata su una rivista per soli uomini.
La voce narrante de L’uomo che non c’era è quella di un uomo (già) morto, come nella migliore tradizione di quel filone noir degli anni ’40 a cui i fratelli Coen fanno esplicito riferimento nel tentativo di decostruirlo dall’interno.
La grande differenza, però, è che un personaggio come Ed Crane nelle pellicole di quel genere, semplicemente, non c’era.
Non si tratta di un detective privato, di un professore di criminologia o di un agente assicurativo: Ed Crane è un barbiere, mite e taciturno, che sospetta la moglie Doris di tradimento.
Per destarsi dal suo torpore esistenziale decide di rischiare del denaro investendolo in un’impresa di lavaggio a secco promossa da un imbonitore come tanti.
Billy Bob Thornton, nel ruolo più importante della sua carriera, dipinge con un’interpretazione saggiamente minimale un tipico antieroe coeniano, abbandonato a se stesso in un mondo (poco importa se reale, la California di fine anni ’40, o fittizio, il noir) a cui non appartiene.
Sarebbe rimasto nascosto nell’ombra, il barbiere, nei titoli che hanno fatto la storia del genere: per questo non sa dove andare, non sa come venire alla luce, riuscendo soltanto a sognare (forse) di essere rapito dagli alieni e portato in un film di fantascienza che, paradossalmente, gli potrebbe appartenere di più.
Ed Crane è stufo di passare inosservato, ora ha deciso di essere lui il protagonista della storia. Anche a costo di finire sulla sedia elettrica.
«Ero un fantasma. Non vedevo nessuno. E nessuno vedeva me. Ero il barbiere»