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In lingua inglese il termine “riff raff” gergalmente significa teppa, marmaglia, ma questo i cinefili di memoria più lunga già forse lo sanno, rammentando quel vivace e vivido film del 1991 di Ken Loach dallo stesso titolo e con il sottotitolo “meglio perderli che trovarli”.

Anche la maggior parte dei personaggi di quest'ultimo lavoro di Dito Montiel – presentato fuori concorso al 42° Torino Film Festival - in effetti sarebbe meglio non incrociarli mai, anche se con ammirevole flemma e impegno il maturo Vincent (un Ed Harris sempre più asciutto) si sforza di tenere seppelliti i suoi segreti alla sua ormai collaudata nuova e “normale” famiglia, con moglie ex vedova e molto perbenista con figlio alla vigilia del college, tragicomicamente allo stesso tempo sapientino e ingenuo, alle prese con il fisico corpulento e i turbamenti di un primo amore finito a catafascio (ah, quella Brittany!).

Tutto comunque scorrerebbe nella norma, in attesa di un sereno fine anno in una splendida villetta nel cuore del Maine. Senonché i problemi del passato, per quanto non solleticati, piomberanno addosso a un Vincent in vestaglia con la forza di un boomerang maligno e inaspettato, prima con l'arrivo della prima moglie (Jennifer Coolidge, ex biondona di tante commediole anni '90 da Austin Powers ad American Pie e qui deliziosamente stolida) che non smette mai di parlare a sproposito e quasi sempre alticcia, assieme a un primogenito in misteriosi (per ora) guai con moglie italiana vistosamente incinta (“ma nooo! Viene dall'Italia, a loro piace mangiare”) interpretata da Emanuela Postacchini, ma soprattutto e subito dopo ecco piombare un ex compare (Bill Murray) che ha vari motivi per vendicarsi di padre e figlio (parliamo del maggiore): “l'omicidio è la soluzione de facto di ogni problema!”.

Di complicazione in complicazione, la storia da commedia con tanti flashback su una famiglia disfunzionale (raccontata e commentata dal secondogenito D.J) si trasforma in un revenge thriller dallo humour tarantinato, con equivoci, grilletti facili, battute divertentemente incongrue e morti a volte non immediate.

Di fatto, è dall'esordio del 2006, il premiato a Venezia (Leone d'Argento e Premio Speciale della Giuria) Guida per riconoscere i tuoi santi, che il 59enne Dito (nome completo Orlando Anthony) Montiel, curioso mix di sangue nicaraguense e irlandese, nato e cresciuto nel Queens di New York ed ex musicista punk, ex modello, ex scrittore ed infine sceneggiatore e regista, non realizzava un film così sapido e fluido, al netto di una prevedibile convenzionalità nell'insieme. E un po' di merito crediamo vada anche all'autore della storia John Pollone (Stronger, 2017).

D'altra parte, come dichiara il regista. “La famiglia non la puoi scegliare, è quella che è. Non devi amarla ma sei costretto a farlo”.

E aggiungerebbe DJ: “è tutto in funzione della propagazione della specie”, niente di più, niente di meno, una sovrastruttura da vivere con tanta pazienza e senso dell'ironia, nient'altro.