Era inevitabile. Non solo che, prima o poi, l’opera del fumettista italiano più talentuoso del momento sarebbe stata trasposta sul grande schermo, ma soprattutto che avrebbe creato delusione e malumore. Ma in fondo dovevamo aspettarcelo: la profezia dell’armadillo (così come è spiegata nel libro e nel film) non è nient’altro che una «qualsiasi previsione ottimistica fondata su elementi soggettivi e irrazionali spacciati per logici e oggettivi, destinata ad alimentare delusione, frustrazione e rimpianti, nei secoli dei secoli». Se quindi i fan e gli appassionati delle strisce di Michele Rech (questo il vero nome di Zerocalcare) hanno alzato la voce infastiditi dal film di Emanuele Scaringi, in realtà potrebbe anche essere una scelta coerente e funzionale all’esito dell’operazione stessa. La grande attesa, ha generato altrettanta delusione.
La scommessa sicuramente non era semplice: più un oggetto è amato e osannato (il romanzo a fumetti d’esordio di Zerocalcare rientra perfettamente nella categoria), più si rende rischioso e impervio il percorso per riadattarlo. Basta un piccolo passo falso per essere accusati di lesa maestà e supponenza. Tuttavia è doveroso notare come effettivamente il film di Scaringi di passi falsi ne compia ben più di uno, e come soprattutto non si tratta di piccole sviste. Lasciando da parte le molteplici differenze tra i personaggi del film e quelli del fumetto (anche se alcune decisamente sostanziali, come la caratterizzazione del protagonista) e una confezione visiva da rivedere sia dal lato estetico che da quello della struttura drammaturgica, il problema più grave ed evidente che attanaglia La profezia dell’armadillo è quello di non aver minimamente pensato a un cambio di registro, di metodo, di media per adattare le vignette al cinema.
Sergio Bonelli diceva che «i fumetti sono il cinema dei poveri». Una battuta interessante che però Scaringi ha preso troppo alla lettera. La profezia dell’armadillo è infatti un film goffo, discontinuo e dal respiro cortissimo. Una serie di sequenze che si susseguono senza un disegno portante comune in grado di unirle e amalgamarle. Le disavventure di Zero e Secco, il loro rapporto con Rebibbia, la disillusione dell’età adulta e la sconvolgente inquietudine del passato vengono restituite senza un cuore pulsante in grado di sostenerle all’infuori di alcune battute comiche quasi mai all’altezza.
Il libro di Zerocalcare aveva il medesimo impianto poiché frutto di tavole indipendenti coadiuvate da uno snodo narrativo capace di alternare ilarità e malinconia. Nel film la componente emotiva è la grande assente. Sarebbe bastato curare con più precisione questo elemento, adeguando lo spirito del fumetto al linguaggio (diverso) del cinema, dimostrando una dose di coraggio sicuramente più elevata eppure necessaria per far vibrare le storie di un armadillo troppo timido e rinchiuso nella sua corazza.