È il ventiquattresimo Bond dello schermo, il quarto per Daniel Craig, il secondo per Sam Mendes. Direi che coi numeri possiamo finirla qui (anche se la tentazione a contare le location è forte).
Spectre arriva dopo il reboot e il restyling di Casino Royale, ma soprattutto arriva dopo Skyfall, che dello 007 odierno è una specie di magnum opus, un film-gender, un film-padre e madre assieme per il suo “disseppellimento anagrafico”. Per questo motivo, specialmente per questo motivo, Spectre è un flop. La sua intimità esposta, il suo privato confidato, sono pochissima cosa rispetto a quanto già mostrato.
Un film così, un film come Spectre, non fa che reinserire dati già inseriti, approfondire segreti già rivelati. A tal proposito, credo sinceramente che non ci si debba appellare alle regole interne della serie (di ogni serie, a dir il vero). Invocare la ripetizione come necessario dispositivo per la proliferazione del mito farebbe torto sia al mito stesso, il mito di oggi, quello contemporaneo, sia allo spettatore. Adesso James Bond non può più essere quel James Bond, e il primo a capirlo dovrebbe essere il fan: sono cambiati gli scenari (anche industriali), sono cambiate le sue funzioni, è cambiato perfino il suo abito archetipico. Il vintage, la citazione e l’omaggio non lasciano niente, neppure il piacere elementare della visione, perché si scontrano con altre norme, quelle del corporate blockbuster attuale, norme e prodotto diversi dal passato (perché, lo ripetiamo, sono diversi inevitabilmente i contesti).
Mi sembra, inoltre, che rimettersi all’autorialità sia tutto sommato un gioco insignificante. Il Bond cinematografico è sempre stato un fenomeno al di sopra dell’autore, che a sua volta, nel corso del tempo, non ha fatto che adeguarsi a lui, al personaggio, alla sua mitologia. Questo non significa che il regista non abbia mai contato niente: è evidente che fra Lewis Gilbert e Guy Hamilton, o fra Michael Apted e Martin Campbell, una differenza c’è, e si vede, prove alla mano. Tuttavia l’autore è un concetto ingombrante per 007, perché l’autore è 007 stesso, e non ne serve un altro. Guardare dunque a Spectre come a un Bond di Sam Mendes, con il precedente eccellente di Skyfall, è tanto sciocco quanto disagevole, perché del ventitreesimo episodio, di quella “fattura”, di quello spessore, qui non c’è traccia. A parte l’inizio depalmiano a Città del Messico, con quel piano sequenza vertiginoso e la chopper-performance sulla folla che è forse fra i punti bondiani più alti di sempre, il resto – bisogna ammetterlo senza paura – non è dissimile da un M:i qualunque, per giunta spesso e volentieri talmente tirato via da lasciare interdetti (quell’inseguimento romano grida vendetta al cielo).
C’è poi un’altra cosa che stona, in Spectre. Non l’assenza del dettaglio (pop), che da sempre contraddistingue l’immaginario bondiano (non c’è una sola scenografia, un solo “oggetto”, un solo personaggio, degni di essere mandati a memoria, villain e titoli di testa compresi, fra i peggiori della storia), non l’insipienza complessiva delle esibizioni semplicemente di genere, e nemmeno il cortocircuito memoriale di fronte a qualunque set piece (ogni minuto, ogni frammento, ogni idea, sono già stati fatti, rifatti, “girati”: l’effetto è senza dubbio un’orgia cinefila per gli appassionati, ma sulla sua utilità, sulla sua “simpatia”, mi permetto di avanzare qualche dubbio, da grande appassionato, s’intende).
In Spectre stona l’incoerenza interna alla serie: la vicenda, neanche troppo metaforicamente, vorrebbe puntare il dito contro la corsa agli armamenti aggiornati ai tempi (dai droni all’ossessione per le intercettazioni), in nome di un sano e vecchio organismo spionistico, quello della presenza della persona sul campo e di una cassetta degli attrezzi classica. Quindi, via libera agli scontri corpo a corpo, alle auto, alle pistole, ai “normali” congegni esplosivi. Ma tutto ciò, per l’appunto, era già stato ampiamente articolato e assimilato da Casino Royale, a tal punto che i successivi Quantum of Solace e Skyfall operavano di avanzamento, non di ripetizione.
Cos’è, allora, Spectre, il reboot del reboot? Un ennesimo restyling? Torniamo così all’inizio. Non è un bel tornare, se l’unica consolazione che rimane, a conti fatti, è il brano di Sam Smith Writing’s On the Wall.
Pier Maria Bocchi
Un misterioso messaggio conduce James Bond in una missione che lo porta da Città del Messico a Roma, dove scopre l'esistenza di una misteriosa organizzazione nota come Spectre. Mentre il nuovo M, Gareth Mallory, continua a combattere le pressioni politiche che minacciano l'MI6, Bond capisce che l'unico modo per fermare la cospirazione è proteggere Madeleine Swan, figlia della sua vecchia nemesi, Mr. White. Costretto ad agire in segreto, Bond recluta Moneypenny e Q per affrontare un nemico proveniente dal suo passato.