Todd Field

Tár

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Dirigere un’orchestra, anzi, il lessico anglofono ci ricorda che avrebbe più senso dire condurla, non è un mestiere per signore. E anche oggi che se ne parla di più (e purtroppo, almeno in Italia, per le ragioni sbagliate), il rapporto continua a essere fermo a una direttrice ogni trenta direttori. Lydia Tár (Cate Blanchett) è una delle poche donne al mondo alla guida di una grande orchestra, dei Berliner Philarmoniker, e dobbiamo immaginarla subentrata in quella posizione ad Abbado e a Simon Rattle, là dove nella realtà ora c’è Kirill Petrenko. La vediamo a proprio agio in una lunga intervista, coltissima, dove ripercorre, tra l’altro, la nascita e l’evoluzione della figura che ricopre, dalla tragicomica e suicida introduzione del bastone da parte di Lully agli esempi storici, rari ma sempre significativi, di donne sul podio, da Nadia Boulanger a Antonia Brico (e si guarda dal menzionare Marin Alsop, forse proprio perché è il personaggio contemporaneo a cui più somiglia); la seguiamo a pranzo con il delegato di una fondazione per cui lavora, Accordion, impegnata a sostenere la formazione di nuovi giovani musicisti e conduttori; la ascoltiamo tenere una lezione alla Julliard School, alle prese con le istanze e le idiosincrasie irricevibili, al limite del grottesco, delle nuove leve, con unǝ allievə non-binary che rigetta Johann Sebastian Bach perché maschio cisgender e incarnazione del patriarcato; la accompagnamo di ritorno, con un volo di lusso, a Berlino dove la aspettano la moglie Sharon (Nina Hoss), primo violino dei Berliner, e la figlia Petra. Il tutto sotto lo sguardo, ammirato e desiderante, di Francesca (Noémie Merlant), la sua assistente personale (che non sbaglieremmo a definire parente prossima della Anne Baxter di Eva contro Eva).

Nella capitale tedesca la attende, oltre all’orchestra, tutta la macchina, burocratica e di relazioni, della Philarmonie, e, come incombenza, la Quinta di Mahler, quella dell’Adagietto, usato da Visconti in Morte a Venezia e poi da tanti altri, monumento tardoromantico per i più (o forse solo per i più pedanti), incunabolo delle tensioni dell’espressionismo per Berg, Schönberg e soci, e per chi sappia riconoscerne le tracce nel collassare delle armonie, nella convivenza (dis)armonica di bellezza e tristezza. E Lydia, con un’energia e una fisicità che Blanchett sembra mutuare più da Simon Rattle e Gustavo Dudamel che dalle “signore” del podio, invita gli orchestrali proprio a disfarsi di quello che credono di sapere su quella sinfonia, a tradurre la partitura, a interpretarne le strutture con un atteggiamento nuovo, a scombinarla con misura. Una misura diversa da quella che comincia a scombinare la vita stessa e le relazioni di Lydia stessa, tra i fantasmi di un passato recente e le conseguenze di “quel suo appetito da uomo, certo, così strano”, che la induce a un’ossessione cieca e problematica per una giovane musicista russa sbucata alle audizioni per una posizione da violoncellista e la induce a veri e propri momenti allucinatori oltre che a cambiare il programma aggiungendo il concerto di Elgar a Mahler.

Todd Field, assente dagli schermi da più di quindici anni (dopo Little Children2006) non pare in fondo davvero interessato al tema del gender gap, anzi, sembra proprio voler sottolineare per molti versi una sovrapponibilità dell’approccio della sua protagonista con quello maschile, mandandola in crisi quando la realtà le presenta il conto; costruisce un ritratto psicologico per certi versi monumentale come la musica che Lydia conduce, con il paradosso che, pur parlando costantemente di musica sinfonica e di lavoro d’orchestra (o “di concerto”, per assecondare l’uso metaforico che si tende a fare del termine)  in fondo il film si concentra sull’ingombrante unicità del Maestro, e quindi sulla presenza e sulla performance straordinaria di Cate Blanchett, in scena praticamente in ogni singola inquadratura, con gestualità da podio e tedesco impeccabilmente preparati, solista inarrivabile di una sinfonia concertante, con una svolta che ha del meta-narrativo nel momento più teso, quando il mondo sembra esserle interamente contro e gli spostamenti intercontinentali ridotti all’attraversamento di un sottopassaggio, e il fratello, nella casa d'infanzia, in America, le dice “tu non hai idea di dove sei né di dove stai andando”, anticipando per lei e per il film l’unico destino possibile: un esito che ha il sapore della fuga, e se si vuole dell’incompiuta, due termini che in ambito musicale non sono certo il male.


 

Tár
Stati Uniti, 2022, 158'
Titolo originale:
id.
Regia:
Todd Field
Sceneggiatura:
Todd Field
Fotografia:
Florian Hoffmeister
Montaggio:
Monika Willi
Musica:
Hildur Guðnadóttir
Cast:
Cate Blanchett, Noémie Merlant, Adam Gopnik, Marc-Martin Straub, Egon Brandstetter, Ylva Pollak, Paula Först, Sylvia Flote, Sydney Lemmon
Produzione:
Focus Features, Standard Film Company, EMJAG Productions
Distribuzione:
Universal Pictures

Lydia Tár è una delle più grandi compositrici e direttrici d'orchestra viventi e prima donna in assoluto a dirigere un'importante orchestra tedesca. TÁR esplora la natura mutevole del potere, la sua durevolezza e l'impatto sul mondo moderno.

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