The Humans, presentato al TIFF 2021 e distribuito in Italia da Mubi, riprende come molti altri drammi familiari il cliché del rituale che apre a uno scenario di segreti e bugie. In questo caso, la Festa del ringraziamento di una famiglia middle-class di New York, in un appartamento di Chinatown in attesa di essere arredato.
L’interno tirannico in cui si svolge l’azione lascia presagire una realtà esterna frammentata e inospitale. Il mondo raccolto della casa, come la cellula sociale della famiglia, rischia il collasso per asfissia. La materia stessa dell’edificio finisce per assorbire la psiche irrisolta dei protagonisti. Quello domestico diviene lo spazio dell'elaborazione di un trauma, ma anche di un confronto con l’inesorabilità del tempo che passa.
Da questi presupposti si scorge la natura teatrale del film - tratto dall'omonima pièce che il regista e drammaturgo Stephen Karam ha scritto e messo in scena nel 2016 - con la regia cinematografica che trasforma l’ambientazione domestica in una materia morbida e viva, palpitante, sensibile ai fantasmi interni dei personaggi. Al palcoscenico di Broadway che divideva lo spazio in due parti, si sostituisce un approccio contrario che relega spesso nel fuoricampo il soggetto parlante. Le inquadrature fisse si lasciano rifrangere dalla planimetria della casa, dall’opacità delle superfici domestiche attraverso cui la macchina di Karam sbircia la famiglia Blake e vuole riflettere il carattere molteplice della sua opera.
The Humans usa la nevrosi domestica per tingere la commedia di sovrannaturale, non lontano dalla vertigine labirintica ed esistenziale su cui era costruito Sto pensando di finirla qui (2020). L’immutabilità delle dinamiche famigliari sembra escludere la possibilità di un contatto con sé stessi, le inquietudini e le frustrazioni dei personaggi arrivano a stiparsi negli incubi notturni, come negli interstizi delle pareti domestiche.
È in questo modo che il film trasfigura il dramma famigliare in una sorta di horror del subconscio. Il modo in cui Karam gestisce lo spazio, i movimenti e le figure ricorda i gemelli Zürcher e il loro The Girl and the Spider (2021), altro dramma collettivo in interni, altro trasloco (e altra distribuzione Mubi). Il drammaturgo e regista racconta i dettagli e le superfici, usa i muri come controcampo, nega e esclude i corpi per poi sostare a lungo sugli interpreti, tra i quali spicca Jayne Houdyshell, unica superstite del cast della versione teatrale. Il direttore della fotografia Lol Crawley incornicia i soggetti negli stipiti della casa, cogliendoli in una porzione ridotta dell’immagine. Anche i personaggi sono impediti nella visione, impossibilitati a vedere all’esterno grazie a finestre opache o zigrinate e all’interno da un sistema d’illuminazione fatiscente. Al non detto, risponde il non visto, come quello del buio inquietante dietro una porta che si apre da sola.
Questa tenera e assillante cantilena di solitudini familiari, irretite dalla modernità, svilite dal mondo del lavoro, alienate dai segreti covati in solitudine, racconta un’occlusione visiva e narrativa, richiamando l’impossibilità di connettersi con l’esterno e la collettività. Le mura si fanno epidermiche, fallibili, soggette alle proiezioni dei singoli personaggi.
Eppure, proprio grazie alla forza espressiva di queste mura, il film si emancipa dalla verbosità e dalla fissità – e dunque dal rischio della teatralità – creando un immaginario indipendente dalla pièce originaria. In The Humans, dietro il più cerimoniale dei dialoghi, si nasconde lo sconforto scaramantico dell’uomo, il trauma del vivere, il valore mistico e rivelatore del sogno e infine l’evocazione di un sentimento definitivo e luttuoso.
La famiglia Blake si riunisce per il ringraziamento nell'appartamento della figlia Brigid a New York, che la giovane condivide con il fidanzato Richard. Mentre vecchie tensioni emergono durante il pasto, alcuni fenomeni paranormali sembrano manifestarsi.