L’editoria spinge verso le autobiografie. Lo si ripete spesso nell’ultimo film di George Clooney, The Tender Bar, tratto dal memoir autobiografico di J.R. Moehringer Il bar delle grandi speranze. È un dato che aleggia intorno al protagonista J. R., prima bambino cresciuto dalla famiglia della madre, poi giovane aspirante scrittore interpretato da Tye Sheridan. Come un “sappi che”, un monito, una piccola ancora di salvezza, una finestra sicura per chi vorrebbe gettarsi in un mondo lontanissimo da quella che era la provincia del Long Island degli anni ‘70. Ma è anche una dichiarazione d’intenti, esplicita dalle prime immagini del film, che si presenta da subito come “autobiografia”, per poi gettarsi senza esitazione nelle braccia sicure del coming of age dai tratti malinconici, dove il racconto d’infanzia è anche affresco di un microcosmo americano e nel biopic dove tutto gira intorno alla ricerca di una figura paterna assente.
Mentre la storia di formazione si alterna tra la rincorsa al successo dell’università/lavoro e l’inerzia di provincia della casa del nonno (Christopher Lloyd) e del bar dello zio Charlie (Ben Affleck), Clooney cerca di contrapporre la ricerca di una figura paterna del protagonista (prima nella radio e poi nei familiari) a una serie di figure mascoline positive, racchiuse nel bar The Dickens, perno di tutto il film, famiglia edificante, casa accogliente da cui tornare, per poi ripartire.
La figura del padre e, in generale, le spinte dei protagonisti verso legami familiari tornano preponderatamente negli ultimi lavori di George Clooney, giunto ormai al suo ottavo film da regista. Si pensi alla paternità riesumata di The Midnight Sky o quella sotterrata del padre che fa tutt’altro che il padre di Suburbicon. La sua però è una filmografia programmatica e questo The Tender Bar ne è la conferma. Quello che sembra stia mettendo in piedi Clooney è una produttiva macchina di cinema medio che si confronta ripetutamente con tipologie, più che generi, ogni volta diverse (dalla fantascienza di The Midnight Sky al film coeniano Suburbicon, passando per gli intrighi politici di Le idi di marzo) e che come tale guarda più all’efficienza artigianale che ad altro (si pensi qui all’atmosfera anni ‘70, ai costumi, alla fotografia dai colori caldi).
C’è, infatti, un altro dialogo nel film che sembra racchiudere questa programmaticità e allo stesso tempo una presa di coscienza che cerca di esorcizzarla. Quello tra lo psicologo e lo zio Charlie sull’assenza di significato del nome del protagonista (J. R.), su questo acronimo che non sta a nulla, se non al junior di un senior che non c’è. L’incertezza sul significato del nome sta, per lo psicologo, all’assenza di identità del bambino, mentre è proprio la materializzazione di questo concetto, secondo lo zio Charlie, la vera responsabile di una crisi inventata.
Clooney regista, come J.R., rischia da sempre di stazionare in uno stallo creativo nella continua rincorsa di “figure paterne” che di fatto stanno alle idee di cinema che emula, ovvero quello hollywoodiano più classico – l’unica dimensione dove oggi, questo cinema in crisi, sembra poter esistere (vedi West Side Story) – ma allo stesso tempo fa di necessità virtù, esplicando con diversi mezzi una reiterata consapevolezza, per un film che fa della sua poca ambizione il palco per una voce coscientemente derivativa.
Il punto è che forse non basta essere consapevoli, soprattutto se lo si è in maniera invisibile, accessoria, senza una vera e propria presa di coscienza forte (come invece era per un altro film che parlava della provincia americana, dell’adolescenza, della mediocrità di se stessi in un modo molto più centrato come Lady Bird di Greta Gerwig). Clooney, invece, per capire dove andare continua a guardare verso ciò che “l’editoria spinge”, rischiando poco ma risultando fatalmente fuori tempo massimo. Consapevole o no.
Un ragazzo di nome J.R. vive a Manahasset, Long Island, nella casa del nonno e della nonna, insieme con la madre Dorothy e lo zio Charlie. Senza la figura del padre, un conduttore radiofonico disinteressato alla famiglia, J.R. cresce grazie all'affetto della madre e dello zio Charlie, proprietario di un bar che rappresenta per J.R. un rifugio accogliente e confortante. Crescendo, J.R. riesce ad essere ammesso alla Yale, dove sogna di diventare uno scrittore di autobiografie. Qui conoscerà alcune persone fra cui Sydney, con cui avrà una relazione altalenante e il suo amico Wesley, che gli sarà spesso d'aiuto e prodigo di consigli.