“Poveraccio… ha aspettato vent’anni per fare un nuovo film…” - “Sì, questo è cinque anni che ne sta parlando… non riusciremo mai a finirlo”. Il dialogo tra due membri della troupe di AmicheMai, della troupe presente nel backstage del film, ci dà la misura di quello che è realmente stato, per Maurizio Nichetti, il progetto di quest’opera. Pensata nel 2019 da uno spunto fornitogli da Angela Finocchiaro, protagonista di molti suoi film e in particolare di Volere volare oltre che del suo mitico film d’esordio, Ratataplan (1979), ha visto passare la pandemia e altri eventi più o meno tragici prima di poter essere realizzata davvero, e di essere presentata nella selezione ufficiale del Torino Film Festival (sezione Zibaldone). Con soggetto firmato anche da Finocchiaro e Mainardi. Per questo il regista l’ha definita come un secondo esordio, dopo più di quarant’anni da quello vero e dopo ventitré anni dall’ultimo film, anni in cui Nichetti ha fatto televisione, teatro e soprattutto ha insegnato cinema, al CSC di Torino (sezione Animazione), alla Cattolica di Milano, alla Civica Scuola di Cinema di Milano (che ha anche diretto) e ora alla IULM.
Un secondo esordio che, degli altri suoi film, mantiene la freschezza e la leggerezza, oltre che l’originalità; che in questo caso è data (come in Ladri di saponette) dall’intersecarsi dei piani di cui l’opera si compone, che sono quello del film che si deve realizzare anzi che, pur con mille difficoltà, si va realizzando (AmicheMai, il cui titolo, scritto staccato, è lo stesso della canzone di Andrea Mingardi per le voci di Mina e Ornella Vanoni, due primedonne molto diverse l’una dall’altra), quello del backstage del film stesso, quello del backstage registrato dai social, nelle persone di due giovani e carine content creator che filmano e commentano i vari momenti della lavorazione, apparendo in split screen, e infine quello degli schermi che ci vengono mostrati, dalla televisione (con le immagini dell’Italia sommersa dall’acqua delle piogge che sono arrivate dopo anni di siccità, causando danni irreparabili) al Mac che fa vedere, a un Nichetti ormai distrutto dalle difficoltà e convinto che, come da dialogo sopra riportato, non sarebbe mai riuscito a terminare il lavoro, che il finale c’è, cioè che si può utilizzare come finale la sequenza girata all’inizio, allo stesso modo in cui, visto che non è possibile girare la scena chiave sul lago ghiacciato perché il lago, a causa del cambiamento climatico, ghiacciato non è più, si può filmare l’auto “conficcata” e poi riprodurle il ghiaccio intorno con il digitale.
Per cui abbiamo una storia, quella di AmicheMai, “liberamente tratta da tante storie vere”, che mette a confronto due donne, Anna e Aysé, interpretate da due attrici di classe come Angela Finocchiaro e la Serra Yilmaz di tanti film di Özpetek, l’una la figlia e l’altra la badante del signor Gino, che a un certo punto muore lasciando in eredità alla sua assistente un letto, nella testiera del quale si scoprono poi esserci un bel po’ di soldi; due donne che si detestano (o meglio, Anna detesta Aysé, pensando che sia un’approfittatrice) ma che alla fine, come nella migliore tradizione del buddy movie qui coniugato al road movie (perché il cuore del film è il viaggio che le due faranno da Trieste alla Turchia, patria di Aysé, passando per la Bulgaria a “salutare” il marito di Anna), si comprenderanno e pacificheranno. Una storia che ha attinenza con la realtà ma che viene trattata qui con levità, come una commedia gentile anzi come una sorta di favola, con il classico lieto fine che dà un senso al tutto; il che avvalora la definizione data a Nichetti di “neorealista fantastico”.
Ma c’è anche il backstage di quella storia, che è una sorta di film nel film, e che serve a Nichetti per dire qualcosa sul cinema (la difficoltà di farlo, l’importanza di un buon soggetto ma soprattutto di un produttore disponibile, l’ansia del regista che sta in prima fila in tutto, ma poi nelle occasioni ufficiali si dilegua, la vacuità di queste situazioni ufficiali, i cambiamenti del cinema di oggi, con i droni che il regista a un certo punto distrugge, ma con il digitale che in certe situazioni fa comodo), e poi ci sono i social, che trasmettono in diretta sempre tutto, inesorabilmente… E c’è la realtà filtrata dalla tv, che alle città sommerse e ai drammi della contemporaneità contrappone assurde sagre di paese, come quella della salsiccia o quella dell’anguria scolpita. Ma soprattutto l’allarme climatico, guardato anche con ironia (le due ragazze sottolineano che quel set è green, perché usa le luci al led), come con ironia si guarda al gap generazionale (le due attrici, nel finale, vengono surclassate dalle giovani influencer per sfilare sul tappeto rosso insieme al produttore).
Infine i riferimenti (oltre al cinema nel cinema, Jacques Tati e La sedia della felicità di Mazzacurati, altro regista dall’animo gentile, con le immagini della sedia, forse contenente un tesoro, trasportata sopra all’auto come qui la testiera del letto, contenente il denaro del signor Gino, viene trasportata sul pick-up), resi con ironia e autoironia, a volte un po’ malinconiche ma sempre originali e bizzarre.
Anna, una veterinaria, e Aysè, la badante turca del defunto padre, intraprendono un viaggio attraverso i Balcani per portare in Turchia un letto lasciato in eredità. Tra scontri e imprevisti, il viaggio cambierà il loro rapporto.