Jeff Wadlow

Bastano le pinzette

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«Forse è questo il senso di essere supereroe: è prendere il dolore e trasformarlo in qualcosa di buono. Qualcosa di giusto. Ricordi cosa mi hai detto? Questa è la tua vita; devi viverla… Ora trovami una tronchese. Devo staccare il cazzo a questo idiota» (Hit-Girl).

«Bastano le pinzette» (l’idiota).

Forse è questo il senso di tutto il film di Jeff Wadlow: muoversi in equilibrio precario fra una profondità foss’anche illusoria e uno svaccare lapalissiano, mescolare in maniera sfacciatamente goffa i registri, cedere in modo repentino al greve, al pugno nello stomaco gratuito.

O, forse, il senso è nel continuo mascherarsi da altro. Nell’esasperare i linguaggi facendo finta di avere qualcosa di tosto da dire - vengono in mente i killer di Pulp Fiction, che dovevano "entrare nella parte" dopo aver parlato del loro nulla quotidiano, fra massaggi ai piedi e il più sacro dei suoi buchi. Magari un po’ di senso sta anche nell’essere una furbizia metanarrativa; quasi che la pellicola sia il risultato buono e giusto del dolore diffuso e sotto gli occhi di tutti.

Non è un caso se i continui richiami alla realtà, nel film, non siano efficaci. Mentre, paradosso, gli onnipresenti cinguettii di Twitter, l’occhio ubiquo di Youtube e la pervasività di Facebook urlano la propria presenza ormai insostituibile nella nostra quotidianità (pure extradiegetica, tiè).

È altrettanto curioso che Jim Carrey abbia preso le distanze dall’esibizionismo da Grand Guignol di Kick-Ass 2. Dopo averlo visto, parrebbe legittimo pensare a un gioco protratto oltre lo schermo. A un camuffamento ulteriore, prodotto chissà quanto volontariamente dall’attore e tanto reiterato da far perdere di vista una volta per tutte la sostanza intima delle cose. Come quella del e nel film.

In fondo oggi, la realtà, sono i cinguettii cibernetici e i “Mi piace” digitali a farla. E più di qualsiasi regista o produzione cine-televisiva, è Youtube a raccontarla. Tanto che girare agghindati da buffoni è quisquilia secondaria, è strumento utile solo per finirci da protagonisti, in quella narrazione sintetica. L’unica, a dire il vero, collettivamente condivisa – Kick-Ass lo si mena puntando al milione di visualizzazioni, mica per cattiveria.

Quel che conta, insomma, non accade nella vita di ogni giorno. Succede su piattaforme tanto capaci di simulare la verità da crearne una parallela. E hai voglia a dire quanto più o meno legittima. Figurati a distinguerla da quell’altra. Che senso avrebbe?

Ecco, allora, che anche l’ultimo rimando fumettistico dell’episodio diventa gassoso: se nel primo film l’eredità delle strisce di Mark Millar e John Romita Jr. era pesante per quanto parzialmente tradita – nel dare poco peso alla pazzia di Big Daddy -, qui sfuma del tutto, diventando a un tempo onnipresente. Ai tempi di Matthew Vaughn (Kick-Ass, 2010) Big Daddy era un folle, lo si dà per appurato. Ma oggi la cosa conta pochino.

In una realtà che tutto maschera, che cela dentro mille strati di sé la propria essenza, che ride e fa spettacolo mentre sparge il sangue, anche la pazzia diventa indistinguibile dalla “norma”. Big Daddy ha figliato: come nei Batman di Christopher Nolan, Kick-Ass e Hit-Girl sono stati solo i primogeniti.

Distinguetela voi e Jim Carrey la realtà in un mondo così. A me passate una tronchese. O bastano le pinzette per puntare al milione su Youtube?

Kick-Ass 2
Usa, Regno Unito, 2013, 117'
Titolo originale:
id.
Regia:
Jeff Wadlow
Sceneggiatura:
Jeff Wadlow
Fotografia:
Tim Maurice-Jones
Montaggio:
Eddie Hamilton
Musica:
Henry Jackman, Matthew Margeson
Cast:
Aaron Taylor-Johnson, Chloe Grace Moretz, Christopher Mintz-Plasse, Jim Carrey
Produzione:
Marv Films
Distribuzione:
Universal

Dal fumetto omonimo di Mark Millar e John Romita, Jr.: Dave Lizewski è uno studente liceale anonimo e grande appassionato di fumetti, ha pochi amici e vive da solo con il padre. Nonostante la sua vita scorra tranquilla Dave decide un giorno di trasformarsi in un supereroe.

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