Per il suo lungometraggio d’esordio, la regista georgiana Dea Kulumbegashvili ha scelto la fissità. Un’immobilità astratta, segno di un’assenza che tra i confini dell’immagine, statica ed impenetrabile, cela una serie di movimenti imprevisti.
Beginning è la messa in scena di un ossimoro, di un inizio che è anche una fine; il tentativo di individuare un punctum in grado di emergere tra le pieghe del reale. Il film georgiano, vincitore della Concha de Oro al Festival di San Sebastián dello scorso anno (dopo essere stato anche selezionato in concorso al Festival di Cannes, prima della sua sospensione), prende le mosse da una serie di crisi e di punti di rottura per infrangere l’apparente coltre di regolarità che permea la realtà il rappresentata, cercando quell’urto che possa infrangerla, scardinarla e mettere in questione le sue certezze, i suoi equilibri, le sue fissità.
Così, un’usuale riunione nella Sala del Regno di una comunità di Testimoni di Geova, ripresa durante il suo regolare svolgimento, viene brutalmente interrotta da un attentato di matrice estremista, probabilmente orchestrato da un gruppo di cristiani ortodossi. Il fuoco brucia le certezze di David, una delle figure centrali per la comunità (lo vediamo accogliere i fedeli e predicare), e di sua moglie Yana. Ma se l’uomo dovrà cercare di ricostruire ciò che è stato distrutto, Yana si troverà a seguire una via differente, di riscoperta identitaria. Consapevole di essere ai margini del progetto religioso e sociale del marito, per il quale ha sacrificato il suo passato, Yana deve ora ritrovare se stessa, smarrita in un mondo in cui essere donna viene già di per sé percepito come un peso e una colpa.
Beginning opera attraverso una poetica dell’urto, frantumando l’immobilità delle sue inquadrature con incursioni e fratture improvvise. Dea Kulumbegashvili non “gioca” con lo spettatore e con le sue sensibilità, non cerca lo shock a ogni costo. La sua poetica abbraccia sia le sequenze più crude ed esplicite sia quelle più calme e placide. L’impatto cambia, ma l’operazione alla base è simile.
In un lungo piano sequenza (la cifra stilistica predominante del film), vediamo Yana distesa su un letto di foglie, tutto è fermo ma la luce cambia, il tempo scorre, qualcosa in lei è cambiato. Poche ore dopo, un ulteriore mutamento, questa volta traumatico: una violenza sessuale sulla riva di un ruscello. Beginning procede serpeggiando tra presunte stabilità e sconvolgimenti irruenti, studiando le possibilità del movimento e della sua percezione.
La regista ha dunque realizzato un film ambizioso, incentrato soprattutto sulla ricerca da parte di Yana di nuove consapevolezze all’interno di una vita di marginalizzazione e oppressione. Le indagini sull’attentato condotte da un detective abietto e poco interessato alla verità renderanno però evidente l’impossibilità per la donna di uscire dal circolo di tormenti in cui è suo malgrado finita, in un crescendo di violenza psicologica e carnale che evidenzia i fallimenti strutturali di un sistema che non è interessato alla dignità femminile. Yana è madre, ha abbandonato la sua vita precedente per seguire il sogno del marito, e ora è sola nel raccogliere i frammenti del passato, con un profondo desiderio di libertà che è forse incompatibile con le trame del suo Reale e necessita il bisogno imperante di un ulteriore e nuovo inizio.
Yana è un’attrice che ha rinunciato alla propria carriera per sostenere l’attività del marito, esponente di una comunità religiosa. In seguito a un misterioso incidente, il detective che segue le indagini si avvicina sempre più alla donna fino a diventare un’ossessione. Costretta al silenzio in una cultura incapace di proteggere le donne, Yana si troverà a compiere una scelta estrema come moglie e madre nel tentativo di riconquistare la propria libertà.