Steven Soderbergh

Black Bag - Doppio gioco

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L’unione tra la qualità di scrittura di David Koepp e l’incessante esplorazione stilistica di Steven Soderbergh è un connubio che merita sempre un momento di riflessione, a prescindere dal risultato. Black Bag è la terza volta, dopo Kimi e Presence, e il risultato è un’intricata vicenda di tradimenti, dubbi, apparenze e rivelazioni, una sorta di Sesso, bugie e videotape visto 35 anni dopo con le sue naturali evoluzioni, in cui i video sono stati soppiantati dallo spionaggio satellitare per realizzare una spy comedy tesa, complessa ma sempre molto controllata.

Che le dinamiche di genere siano state per Soderbergh sinonimo di una carriera diseguale e di lavori  non sempre riusciti è un fatto, ma l’intrigo, gli andirivieni tra ciò che sembra e ciò che non è, il pregio di molti dialoghi e la proposta di una metafora visiva soggiacente (e coerente con l’attuale punto di approdo di una filmografia prolifica che non mostra di volersi arrestare) inseriscono di diritto Black Bag tra gli episodi migliori, quasi al pari del folgorante esordio già citato o di Ocean’s Eleven, Traffic e Contagion (a cui aggiungerei anche L’inglese). La storia, che narra di un responsabile informatico dei servizi segreti britannici (Michael Fassbender) che deve indagare su cinque persone, tra cui la moglie (Cate Blanchett), sospettate della violazione di alcuni codici di sicurezza, pur densamente inserita in queste dinamiche, è più che altro l’occasione per declinare tutto in un’ambigua vicenda di rapporti basati sulla menzogna, raccontati con una modalità precisa e conforme al senso dell’intero film.

Nella scrittura di Koepp, Black Bag (che è il termine gergale per operazione segreta, ma allude più agli intrighi sentimentali che alle pratiche spionistiche) è una commedia sulla manipolazione travestita da mystery, seppur con qualche deroga nelle convenzioni dell’impianto, poiché la prospettiva di Fassbender ogni tanto è mediata da incursioni di oculate false piste. Ha il ritmo dialogico di una screwball inserita in una miscela schizoide, fondata su personaggi eccessivi (su tutti il Freddie di Tom Burke), inquietantemente ambigui (la Blanchett) o così tanto professionalmente distaccati (lo stesso George di Fassbender) che assolvono anche le relazioni intime come se si trattasse di un microfilm da trafugare. Sarebbe sufficiente pensare al Notorious hitchcockiano o al parahitchcockiano Sciarada di Stanley Donen, per capire quanto di quel sapore classico che Soderbergh omaggia continuamente, pur fingendo di guardare sempre avanti, ci sia nel vincolo tra spionaggio e romanticismo. Procedono in parallelo, garantendosi rettitudine e segretezza ma aprendosi inevitabilmente all’inganno e al tradimento. In Black Bag si sovrappongono, lasciando che il margine di un aspetto diventi lo squarcio sulla rivelazione dell’altro, come dimostrano le due sequenze più lunghe (perché programmatiche), in cui le chiacchiere di una cena e l’esame al poligrafo svelano più corna che non i colpevoli dell’alto tradimento ai danni della nazione.

Per raccontare questa sovrapposizione, Soderbergh (anche montatore e direttore della fotografia con i consueti nomi di Mary Ann Bernard e Peter Andrews) indaga ancora una volta le dinamiche dello sguardo. Uno sguardo attivo, che non si pone solo al servizio della narrazione e della performance degli attori, ma che indica direttamente la modalità attraverso cui la storia va decifrata, ribadendo il regime di ambiguità e indeterminazione in atto. Fin dalla prima scena, un’ideale prosecuzione delle modalità di rappresentazione di Presence, vissuta dallo spettatore in perfetta e fluida continuità con il movimento di Fassbender all’interno di un locale per incontrare un informatore: un’illusione di appartenenza e consapevolezza subito sconfessata al termine, quando uno sguardo rubato e improvviso, totalmente fuori raccordo, impossibile (in quel momento) da ancorare a un soggetto, dà la misura dell’osservazione esterna, spiata, pronta a scrutare Fassbender a distanza, senza che lui ne sia cosciente. Black Bag si basa tutto su questa reversibilità dell’osservazione: chi guarda, chi pensa di predisporre un’istanza di controllo, a sua volta viene guardato senza che se ne avveda, in un circolo vertiginoso difficile da districare almeno quanto lo è la matassa dell’intrigo spionistico allestito (o delle conseguenze romance, a seconda appunto del risvolto verso cui si guarda).

Tra mogli osservate consapevoli di “avere gli occhi addosso”, satelliti deviati, psicoanaliste psicoanalizzate, riunioni schermate per essere sottratte a sguardi indiscreti e addirittura lenti che si appannano privando temporaneamente della vista, Soderbergh cura anche i dettagli di ciò che per lui è la traduzione concettuale di una storia di doppiezza, esche ed evidenze ingannatrici. L’uso del grandangolo che pare rendere agevole il dominio dell’intera inquadratura, contemporaneamente sconfessato dai frequenti cambi di prospettiva del montaggio, fornisce poi la giusta misura di un regista sì, spesso diseguale per gli esiti finali, ma sempre estremamente consapevole di quello che propone a un pubblico disposto a seguirne la carriera in costante movimento.


 

Black Bag - Doppio gioco
Stati Uniti, 2025, 93'
Titolo originale:
Black Bag
Regia:
Steven Soderbergh
Sceneggiatura:
David Koepp
Fotografia:
Steven Soderbergh
Montaggio:
Steven Soderbergh
Musica:
David Holmes
Cast:
Michael Fassbender, Cate Blanchett, Gustaf Skarsgård, Tom Burke, Marisa Abela, Regé-Jean Page, Naomie Harris, Kae Alexander, Martin Bassindale, Pierce Brosnan, Megan Kimber, Paul Bailey
Produzione:
Focus Features, Casey Silver Productions
Distribuzione:
Universal Pictures

La storia dei leggendari agenti segreti George Woodhouse e l'amata moglie Kathryn. Quando lei viene sospettata di tradire la nazione, George si trova ad affrontare la prova definitiva: la fedeltà al suo matrimonio o al suo paese.

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