Bohemian Rhapsody è un film dalla duplice anima. Due modi, due intenzioni, due sguardi diversi concentrati sul medesimo obiettivo: scolpire nella leggenda (del cinema) chi leggenda lo è già. Non è ancora del tutto chiaro cosa sia successo in fase di preparazione e produzione (il primo attore scritturato per interpretare la parte di Freddie Mercury fu Sacha Baron Cohen, poi fattosi da parte per divergenze artistiche; l’abbandono del set da parte del regista Bryan Singer – subentrato all’inizialmente previsto Stephen Frears – poi sostituito, seppur non venga accreditato per ragioni contrattuali, da Dexter Fletcher), sicuramente però qualche scaramuccia deve esserci stata, qualche visione poco consona ai fini commerciali del film e quindi repentinamente (o quasi) messa da parte.
Effettivamente stiamo parlando di un film che vuole proporre da una parte la ricostruzione (abbondantemente romanzata) della carriera musicale dei Queen, una delle band più celebri di sempre, dall’altra un ritratto approfondito del suo leader. Già di per sé è facile intuire quanto una simile sfida possa risultare complessa, ma se in aggiunta sommiamo le due modalità di cui sopra allora l’esito non potrà che risultare deludente. Peccato, anche perché lo spunto iniziale con cui il film sembra voler raccontare la figura di Mercury e il suo potere in quanto icona popolare era quello giusto.
Bohemian Rhapsody infatti si apre e si chiude nel medesimo arco temporale, il celebre Live Aid del 1985 al Wembley Stadium. Nella prima sequenza il volto del protagonista ci viene celato, preferendo mostrare agli spettatori un contesto creato da molteplici dettagli che chiaramente vertono tutti verso la gloria dello spettacolo. Negli ultimi venti minuti di film invece la storia esibizione dei Queen sul palco di Londra viene ricostruita quasi nella sua totalità, ponendo una cura a tratti maniacale per ricreare l’atmosfera in scala 1:1 (emulando i gesti dei musicisti, riportando in scena le attrezzature da palco nella medesima posizione e curando persino i costumi di comparse e addetti ai lavori). Questa (ri)costruzione degli eventi, questa adesione iconografica al mito, è palpabile anche nell’interpretazione di Rami Malek, che si cimenta in una performance prettamente immersiva finalizzata alla somiglianza totale con il suo personaggio.
In anni in cui le immagini sono strumento e motivo di ferventi dibattiti, tra fake news, fotomontaggi e testimonianze di repertorio, affidarsi a un’icona intramontabile è un bisogno quanto mai urgente e ricercato da molteplici malinconici incapaci di sapersi orientare nell’oceano iconografico odierno. La potenza di un mito musicale e il fascino di un idolo sono qualcosa di unico e impossibile da restituire sul grande schermo poiché trascendono l’esperienza della sala, necessitano di un contatto diretto e umano con il manifestarsi nel qui e ora. Ecco che quindi l’idea di riflettere su tutto ciò, prendendo le mosse dai dettagli e dal singolo per poi abbracciare progressivamente l’evento in tutta la sua forza poteva davvero essere la chiave giusta per raccontare i Queen.
Tuttavia il film si tradisce senza sosta nella sua parte centrale, quando dalle origini del gruppo la narrazione copre circa 20 anni di carriera fino a portare la band sul palco del Live Aid. In quel momento, Bohemian Rhapsody veste i panni di uno dei tanti, semplici e poco interessanti biopic statunitensi, prendendosi la libertà di reinventare di gran lunga la cronaca e cercando di condensare in circa due ore album, singoli, litigate, malattie e orientamenti sessuali di cui tutti siamo già a conoscenza. Non c’è alcun rischio, alcuna intuizione, alcun guizzo cinematografico che minimamente si avvicini a quella che, alla fine dei conti, risulta essere una cornice valida e potenzialmente stimolante, ma in grado di racchiudere una tela sbiadita e prevedibile.
La storia dei Queen, della loro musica e del loro frontman, Freddie Mercury, che sfidò gli stereotipi e infranse le convenzioni, diventando uno degli artisti più amati al mondo. Il film ricostruisce la meteorica ascesa della band attraverso le sue iconiche canzoni e il suo sound rivoluzionario, la sua crisi quasi fatale, man mano che lo stile di vita vita di Mercury andava fuori controllo, e la sua trionfante reunion alla vigilia del Live Aid.