Sebbene nasca scrittore e sceneggiatore, Alex Garland è un regista che ha sempre lavorato principalmente con le immagini. Nel suo approccio da studio quasi scientifico applicato a storie e immaginari di fantascienza, l'autore di Ex Machina ama mettere al centro dei propri racconti la percezione distorta della realtà, l'ambiguità delle immagini e l'inganno delle nostre certezze: ciò che vediamo nei film di Alex Garland non è mai quello che sembra a un primo sguardo. In questo senso le immagini stratificate e complesse dei suoi film rappresentano una delle riflessioni più interessanti sulla percezione del reale in una contemporaneità spesso ritoccata, filtrata e artefatta. Non sorprende quindi che al centro di Civil War ci sia proprio un gruppo di fotoreporter schiacciato dal peso morale del riuscire a trovare la giusta angolazione per raccontare in modo oggettivo uno scenario apocalittico.
In un futuro molto vicino (temporalmente e politicamente) al nostro presente, l'America è in mano a dei gruppi di estremisti che hanno trasformato gli Stati Uniti in uno scenario di guerra. Tra milizie armate di fanatici, cecchini appostati, corpi impiccati e fosse comuni, un'equipe di giornalisti proverà a raggiungere Washington per strappare un'ultima intervista al presidente, blindato dentro la Casa Bianca. È un viaggio dal piglio quasi documentaristico che inizia con un (nuovo) attentato a New York e finisce con i carri armati al Campidoglio: al centro un'America devastata dalle polarizzazioni estremiste e dal degrado della democrazia occidentale.
Civil War è un susseguirsi di scenari bellici da cui siamo bombardati costantemente, inseriti questa volta in un contesto più familiare e meno distante dalla nostra idea di quotidianità. In questo senso è un film visivamente potentissimo, capace di raggiungere momenti di violenza davvero terrorizzanti. E non è di certo un caso che Civil War sia anche, tra le opere di Garland, quella più "semplice", diretta e per certi aspetti meno ambigua. In una contemporaneità fatta di immagini quasi sempre ritoccate, decontestualizzate o generate dall'intelligenza artificiale, dove il distacco tra il reale e la sua rappresentazione non è mai stato così ampio, non ha infatti quasi più senso lavorare sull'ambiguità della percezione. Provare a ricreare un legame diretto e un dialogo tra realtà e immagini diventa invece, da questo punto di vista, un gesto politico.
La fotografa Lee (una magistrale Kirsten Dunst) vorrebbe essere testimone oggettiva dei fatti che sta incontrando nel suo cammino. Mette costantemente a repentaglio la propria vita per provare a cristallizzare il proprio sguardo, a trovare un senso in ciò che vede e soprattutto per trasmetterlo al resto del mondo. In Civil War le fotografie fanno da punteggiatura alla narrazione, rappresentando al contempo dei corpi estranei e il cuore di tutto. Così come i fotoreporter, le immagini stesse sembrano essere alla costante ricerca di un ruolo all'interno del racconto. Il peso morale di poter cambiare la lettura e la prospettiva della Storia che ossessiona i protagonisti, viene gestito in modo impeccabile dalla regia di Garland, che sa essere vicina e coinvolgente rispetto agli eventi che racconta, ma al contempo anche volutamente fredda e distaccata in modo da non indirizzare mai troppo lo sguardo dello spettatore in termini di interpretazione e significato.
Civil War si dimostra quindi una delle riflessioni più lucide e stratificate sul ruolo dell'immagine nella narrazione del nostro tempo. In un contesto fatto di opinioni e fazioni sempre più polarizzate ed estremiste, la ricerca ossessiva di oggettività si trasforma ben presto in utopia. Perché il significato di un'immagine viene quasi sempre dato da chi quell'immagine la guarda. La scelta di costruire un racconto il più neutrale possibile responsabilizza lo sguardo dello spettatore, trasferendo su ciascuno di noi la responsabilità morale di dare un significato a ciò che abbiamo appena visto.
In un futuro non molto lontano, gli Stati Uniti sono coinvolti in un drammatico conflitto interno. Una nuova guerra civile tra il governo federale del presidente totalitario e gruppi di stati ribelli si combatte su tutto il territorio. In uno scenario tragico e pericolosissimo, alcuni fotoreporter e corrispondenti di guerra, guidati dall'esperta e disillusa Lee, partono da New York verso Washington per intervistare il presidente.