Ci sono due urla in Falling: il pianto di un neonato alle parole del padre, «Scusa, ti ho portato in questo mondo, dove morirai», e le grida del padre anziano che, dopo essersi svegliato di notte su un aereo, chiama la moglie convinto di trovarsi in casa, rimproverando il figlio adulto che tenta di riportarlo al suo posto.
John (Viggo Mortensen) sta portando il padre (Lance Henriksen), affetto da demenza senile, in California alla ricerca di un posto dove poter sostenerlo. Alternando il fumoso e conflittuale presente con il malinconico e ambiguo passato, i due ripercorrono la loro vita, affrontando una convivenza forzata, tossica, velenosa, che diventa terapia d’urto in questo piccolo scambio dove in un momento è il padre ad accudire il figlio e nell’altro è il figlio ad accudire il padre. Poi le urla ritornano, come sfogo, rabbia, rammarico, come ultima reazione ad ogni caduta.
Falling – titolo che in italiano può essere un riferimento alla decadenza del padre, suggestione autunnale, all’innamoramento (falling in love) o, ancora, allusione a un movimento dall’alto verso il basso compiuto dal figlio nel prendere un periodo di pausa dal lavoro di pilota di aerei per stare “con i piedi per terra” e affrontare questioni pragmatiche vicino al padre – è la dura convivenza tra due realtà, due epoche (anni 60/70 e fine anni Duemila), due geografie (l’America rurale di provincia e la California più globalizzata), due visioni del mondo (allevatore conservatore l’uno e pilota d’aereo progressista l’altro), della famiglia (“tradizionale” e LGBT) e della politica americana di quegli anni (McCain e Obama). Mentre il conflitto temporale si gioca sul terreno intimo dei personaggi, spesso caldo, malinconico e in slow motion, il contrasto padre/figlio cerca di farsi spaccato di una nazione e rappresentazione (che pecca forse di troppa pacatezza e didascalia) dell’enorme frattura politica, ideologica e morale dell’America contemporanea.
Sotto questo punto di vista, ciò che sembra interessare Viggo Mortensen, al suo esordio alla regia, è realizzare un film che indirizzi, che indichi una strada, che componga piuttosto che decomporre, presentando un conflitto che non è un vero conflitto, ma più un rimprovero unidirezionale. Tra i due, è proprio il personaggio di Mortensen a non sbagliare mai, a non scomporsi, se non in un’occasione, sempre dalla parte giusta, comprensivo e servile. Mentre il padre è ottuso, arrogante ed egoista. Da una parte c’è il democratico liberal, giovane e cordiale, dall’altra il repubblicano, vecchio, razzista e omofobo. Inevitabilmente, pensando ai ruoli chiave della carriera dell’attore, Falling rimanda al semplice, chiaro ed edificante Green Book.
E come spesso accade per gli esordi di attori alla regia, anche questo film è soprattutto un lavoro di attori, con Mortensen contenuto e controbilanciato da Lance Henriksen, eccessivo, sboccato, ma mai in overacting (e c’è anche un cameo di David Cronenberg). D’altronde il tema della demenza senile al cinema sa essere un perfetto canovaccio per prove attoriali degne di nota. The Father di Florian Zeller, ad esempio, ha dato un Oscar ad Anthony Hopkins, anche se in quel caso il film era un gioco di punti di vista, una rappresentazione teatrale e immersiva in una soggettività multiforme. Qui, invece, i punti di vista sono alternati, i flashback ripartiti fra padre e figlio, come le prospettive da una parte nuvolose, dall’altra nitidissime.
L’impressione è che il film, pur ponendosi obiettivi e premesse chiari, non voglia o non abbia il carattere di sostenere, radicalizzandole o almeno rendendole sempre più nitide, le proprie idee di partenza.
Willis, uomo di altri tempi, è costretto a lasciare la fattoria dove vive per trasferirsi a casa di suo figlio John che vive con il suo compagno Eric e la loro figlia Mónica in California, lontano dalla tradizionale vita rurale a cui Willis è abituato. Ma si sa, il ritorno alla convivenza tra genitori e figli può essere complicato. Spesso l’irruento carattere di Willis si scontrerà con la vita di John, ma i momenti di confronto tra padre e figlio risolvono anni di incomprensioni e riaccendono il calore di un rapporto per troppo tempo intiepidito.