Lucido e spietato requiem postmoderno, The Canyons decreta con mirabile consapevolezza la fine del cinema di desiderio, ossia del cinema che evoca, che sgorga inesauribile dalle immagini. Non sono solo le sale cinematografiche a essere in disfacimento, abbandonate e in via di demolizione, è un intero immaginario a non essere più in grado di rigenerarsi, e a trovare nella ripetizione piatta e svuotata l’unica via per perpetuare – lacanianamente - il godimento. Che non è, appunto, il desiderio.
Alle immagini misteriose e inafferrabili si sostituiscono immagini autoreferenziali e onanistiche, ossia immagini pornografiche – non perché abbiano a soggetto l’esplicitazione dell’atto sessuale, ma perché rimandano solo e esclusivamente a quello che mostrano. La mescolanza di generi - dal melodramma all’horror - non appassiona né turba, annoia, semmai, per il suo essere, volutamente, una copia seriale e mortifera.
In questa autopsia dell’immaginario Paul Schrader è sostenuto con grande coerenza dalla sceneggiatura di Bret Easton Ellis, da sempre cantore del tedio e dell’horror vacui. Tara, Christian, Ryan, Gina e Cynthia potrebbero essere intercambiabili, le loro vicende non hanno alcun peso, si accavallano e si risolvono con la stessa banalità con la quale la protagonista cambia l’abito o l’acconciatura, gli amanti e gli interessi.
Tutti lavorano per un film di cui a nessuno interessa un granché, le conversazioni attorno a un tavolo di un ristorante girano a vuoto, i primi piani dei volti belli ma inespressivi lasciano il passo a un bicchiere da cocktail o al bancone di un bar, senza che si senta realmente uno stacco; i rapporti interpersonali sono per lo più mediati da smartphone e altri oggetti simili, attraverso i quali si parla, si scrive, ci si controlla, si scelgono i compagni di orge, si filmano gli amplessi (riferimento quasi obbligato a un altro capolavoro di Schrader, Auto Focus, 2002, in cui il protagonista aveva numerosi rapporti sessuali al solo scopo di poterli riprendere e, in un secondo momento, giungere finalmente all’eccitazione e al piacere rivedendo i filmati e montandoli).
È evidente che il rito funebre che The Canyons rappresenta non va riferito a tutto il cinema, bensì alla maggior parte delle produzioni che, non solo raggiungono e occupano le sale, ma ormai sono fruibili attraverso qualsiasi apparecchio di uso comune, dal computer al telefono portatile. Il cinema di desiderio, evocativo, continuerà a resistere, per quanto in spazi sempre più limitati e inattesi. Il resto sarà simile ai volti e alle espressioni artefatte e sopra le righe dei due protagonisti (mai scelta fu più azzeccata): James Deen, che gioca freddamente col suo ruolo, lo marca, ne fa una macchietta, e Lindsay Lohan, che mostra coraggiosamente il viso segnato e stravolto, vera e propria incarnazione del cinema al suo canto del cigno, tragicamente svanito e irrimediabilmente perduto.
The Canyons è un thriller noir ambientato a Los Angeles che parla dei pericoli, sia personali che professionali, che derivano dall'ossessione per il sesso e per l'ambizione. La storia ruota attorno alla turbolenta relazione tra Tara una giovane aspirante attrice, e Christian un giovane e ricco produttore di film. La vicenda si complica quando nella vita di Tara si riaffaccia il suo ex, Ryan, in un'escalation di sangue, violenza, paranoia e crudeli giochi mentali.