Paolo Genovese

Il cinema della rimozione

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Francesco Taramelli (Marco Giallini) è uno psicanalista romano di mezza età alle prese con le complicate vicissitudini sentimentali di tre casi disperati. C’è l’omosessuale Sara (Anna Foglietta), che dopo l’ennesima delusione d’amore si ripromette di diventare etero e da New York fa ritorno a Roma; Marta (Vittoria Puccini), romantica libraia che si innamora di un fascinoso cleptomane sordomuto (Vinicio Marchioni); la giovanissima Emma (Laura Adriani), fidanzata con il cinquantenne Alessandro (Alessandro Gassmann), che non ne vuole saperne di lasciare la moglie (Claudia Gerini). Ordinaria amministrazione di uno strizzacervelli, se non fosse che le tre ragazze sono sue figlie...

Attorno alle illusioni e agli enigmi del desiderio femminile (nulla a che vedere però con gli interrogativi che avevano tolto il sonno a Freud e dato da pensare a Lacan: «Che cosa vuole una donna?»), il regista e sceneggiatore Paolo Genovese (La banda dei Babbi Natale, Immaturi, Una famiglia perfetta) imbastisce una commedia sentimentale briosa e svagata, condotta però tutta in superficie, con qualche (raro) momento felice.

A detta di Genovese «i critici conservano ancora molti pregiudizi. Spesso pensando di farmi un complimento mi dicono che “il tuo film sembra una commedia americana. E io invece vorrei che mi dicessero che sembra una commedia italiana”». Sembra, per l’appunto.

Tutta colpa di Freud è l’ennesimo esempio di un cinema che, incapace di affrontare di petto la realtà con adeguati mezzi linguistici e formali – come invece riusciva a fare la commedia italiana dei "padri" a cui pure ci si richiama – si affida all’espediente della favola politica, alla mediocrità ridanciana, alla fragile coralità dei punti di vista (è questo il caso). Sarà la penuria di mattatori? Lo scarso livello di scrittura? Può darsi.

Sta di fatto che anche nel film di Genovese l’impressione principale è quella di trovarsi di fronte a una struttura diegetica "dopata". Fuori misura. Per timore di non dire abbastanza, si dice troppo. Non è un caso che le uniche sequenze a distinguersi per tono, sfumature di sguardo e sensibilità sono quelle che riguardano un sordomuto... Succede quando si rinuncia al riflesso pavloviano della battuta troppo scritta, della gag inutile, dell’annotazione grottesca e didascalica.

Non bastano però le arie dalla Turandot, i colpi di fulmine (lesbo) annunciati da uno starnuto, le lezioni sulle tipologie del maschio italico (Insoddisfatto – Peter Pan – Vorrei ma non posso – Buono bello intelligente ma con il complesso della mamma) e le citazioni esplicite (la corsa di Giallini attorno all’isolato per fingere di incontrare casualmente la Gerini richiama il Troisi di Ricomincio da tre), a rendere Tutta colpa di Freud un film riuscito.

La collaborazione di Pieraccioni al soggetto, oltretutto, si sente nel tocco da realismo rosa, fatato e senza tempo: Vittoria Puccini tiene sugli scaffali i romanzi della collana Medusa (sic!) e libretti d’opera (quelli che ruba compulsivamente Vinicio Marchioni); Marco Giallini fa lo psicanalista ma non riceve mai un paziente; tutti vivono in case tra lo chic e il vintage, con arredamenti da rivista di settore; non esiste il traffico, si cammina, al massimo si pedala in bicicletta, in mezzo a un pugno di vicoli attorno a Piazza Navona e Campo de’ Fiori.

In psicoanalisi questa si chiama rimozione... della realtà.  

Tutta colpa di Freud
Italia, 2014,
Regia:
Paolo Genovese
Sceneggiatura:
Paolo Genovese, Paola Mammimi, Leonardo Pieraccioni
Fotografia:
Fabrizio Lucci
Montaggio:
Consuelo Catucci
Musica:
Maurizio Filardo
Cast:
Marco Giallini, Vittoria Puccini, Anna Foglietta, Claudia Gerini, Alessandro Gassman, Laura Adrian, Daniele Liotti, Vinicio Marchioni, Edoardo Leo, Gianmarco Tognazzi, Edoardo Leo
Produzione:
Lotus Productions, Medusa Film
Distribuzione:
Medusa Film

Francesco Taramelli è un analista alle prese con tre casi disperati: una libraia (che si innamora di un ladro di libri; una gay che decide di diventare etero; e una diciottenne che perde la testa per un cinquantenne. Ma il vero caso disperato sarà quello del povero analista, se calcolate che le tre pazienti  sono le sue tre adorate figlie.

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