Gloria è il primo film del cileno Sebastián Lelio a essere distribuito in Italia, ha vinto l’Orso d’argento a Berlino per l’interpretazione della protagonista Paulina García, e oltreoceano la stagione dei premi ormai alle porte - il film è la proposta del Cile per l’Oscar al film in lingua straniera - già gli sorride con ottime recensioni. Con un personaggio principale così forte, al quale dà corpo un’attrice sottile, ironica e generosa, e una messa in scena così pulita al servizio di una storia tanto semplice e umana, non potrebbe essere altrimenti: Gloria è l’opera perfetta per farsi amare superando i confini geografici.
Per chi però conosce la filmografia precedente di Lelio (qui da noi inedita ma proposta in retrospettiva all’ultima Mostra di Pesaro che ha dedicato un focus proprio al nuovo cinema cileno), Gloria può apparire un passo strano, perché non possiede l’autorialità marcata e la spiritualità dissacrante, esibita già nella scelta dei titoli, di La sagrada familia (2005) e Navidad (2009) né ha la forza radicale di El año del tigre (2011), dove certe forme tipiche del documentario (il film è stato girato tra le montagne del Cile subito dopo il terremoto del 2010) servivano al regista per costruire una drammaturgia di implacabile precisione.
Eppure Gloria, dentro una cornice produttiva e linguistica all’apparenza più convenzionale, parla ancora una volta dell’unico, vero argomento al centro di ogni film di Lelio: la libertà individuale dell’essere umano (e non è un caso che il protagonista di El año del tigre sia un detenuto). Una libertà faticosa e spesso straziante, che deve imparare a fare a meno della famiglia, delle certezze fragili costruite sui sentimenti e della speranza che il futuro possa rispondere ai propri desideri di felicità.
Lelio mette a nudo ogni dolore di Gloria, ogni fallimento: il suo matrimonio è finito, i legami familiari mutati, la salute inizia a scricchiolare e la ricerca di qualcuno che corrisponda la sua voglia di costruire un amore nuovo non le porta altro che ulteriore sofferenza. A Gloria resta soltanto se stessa. E infatti la canzone che dà il titolo al film - è il brano del nostro Umberto Tozzi, in versione spagnola - e che la spinge a cantare e ballare ancora una volta, da sola, quando sembrerebbe più logico sentirsi sconfitta, è una canzone che porta il suo nome.
Gloria ha cinquantotto anni e si sente ancora giovane. Cercando di fare della sua solitudine una festa, trascorre le notti in cerca d'amore in sale da ballo per adulti single. La fragilità della sua felicità viene però a galla il giorno in cui incontra Rodolfo. L'intensa passione che nasce tra loro spinge Gloria a donare tutta se' stessa, come se sentisse che questa è la sua ultima occasione. Gloria dovrà ritrovare il controllo di se' e attingere ad una nuova forza per scoprire che, nell'ultimo atto della sua vita, riuscirà a brillare più che mai.