Dopo essere stato selezionato nell’edizione fantasma del Festival di Cannes 2020, l’esordio al lungometraggio animato dell’illustratore francese Aurel esce finalmente anche nelle sale italiane (per quanto per soli tre giorni). Potrebbe essere un dettaglio irrilevante (e probabilmente di fatto lo è, vista la miopia della distribuzione nostrana verso opere di questo genere, unitamente alla confusione e all’incertezza di un mercato paralizzato dalla pandemia), eppure è interessante notare come la storia del film Josep possa combaciare con quella raccontata dal film stesso.
Siamo infatti alle prese con un lavoro che porta in scena la bellezza e l’importanza della riscoperta. Dopo un lungo periodo di silenzio, quando la memoria aveva ormai ceduto il passo all’oblio, l’incredibile storia di un ex militare e del prigioniero di cui divenne amico durante la Seconda guerra mondiale torna nuovamente a galla per provare a illuminare e ispirare le nuove generazioni.
Oltre a un film rimasto “immobile” per più di un anno, anche la genesi del progetto sposa questo racconto. È lo stesso Aurel infatti ad affermare di essersi imbattuto casualmente nelle tavole del prigioniero Bartolì durante una fiera di libri. Tavole realizzate durante uno periodo buio nella vita dell’autore e poi portate alla luce (di nuovo) dal lavoro editoriale di suo nipote.
La genesi di Josep è dunque tanto fortuita quanto lontana nel tempo. Sono troppe le coincidenze (tutte similari) che hanno portato al concepimento di questo film, tanto che il suo regista se n’è accorto e proprio su questo tema ha lavorato.
Così, in anni in cui il cinema d’animazione autoriale si sta discostando dal mainstream ricercando una componente estetica minimalista e sperimentale, in grado di far interagire il pubblico con le immagini e non stupirlo per la verosimiglianza sempre più concreta dettata dal freddo fotorealismo digitale, Aurel tematizza il valore della memoria e il viaggio a ritroso nel passato grazie a una messa in scena che sposa perfettamente un simile concetto.
Josep è più simile a uno storyboard animato che a un film di animazione. Ogni singola inquadratura (basata sul concetto della linea, un tratto sottile ma evidente mirato a separare due mondi, due uomini, due generazioni) diventa materia pulsante, grondante di Storia e di storie. È la vignetta di un fumetto priva di movimento che sarà lo spettatore a dover unire in un montaggio fluido e personale.
Al di là della guerra, al di là dello strazio fisico e psicologico cui il film ci pone innanzi, al di là dell’importanza storica e del valore documentaristico, Josep esalta la necessità di continuare ad alimentare un ponte tra passato e presente, un legame che coltivato giorno dopo giorno da tutte le generazioni in gioco (non è un caso che lo sceneggiatore del film sia Jean-Louis Milesi, fidato collaboratore di Robert Guédiguian). Un gesto di primaria importanza se non si vuole finire nell’oblio che accoglie il protagonista nei primi minuti del film quando, senza il suo passato, rischia di perdere la sua identità.
Febbraio 1939. I repubblicani spagnoli si dirigono in Francia per fuggire dalla dittatura di Franco. Il governo francese confina i rifugiati in campi di concentramento, dove si riesce a malapena a soddisfare il bisogno di igiene, acqua e cibo. È in uno di questi campi che due uomini, separati dal filo spinato, diventeranno amici. Uno è una guardia, e l’altro è Josep Bartolí (Barcellona 1910 – New York 1995), un illustratore che combatte il regime franchista.