Si potrebbe chiudere la questione con poche parole, perché in fin dei conti questo Clown non sarebbe poi così diverso da dozzine di altri prodotti straight to video destinati a svanire presto dalla memoria. Del resto l’appassionato conosce fin troppo bene la triste situazione attuale: l’horror che esce in sala in Italia, oggi, è il cinema più brutto del mondo.
E pensare che proprio quest’anno di cose notevoli, se non notevolissime, in giro se ne sono viste eccome (At the Devil’s Door, The Babadook, It Follows, solamente per citare tre esempi); invece Clown arriva da noi addirittura in anteprima mondiale, forte del nome in locandina di un Eli Roth che sarà pure quel maestro del new (new) horror che vogliono farci credere, ma che intanto pure lui si ritrova con il suo ultimo The Green Inferno misteriosamente scomparso nei meandri della distribuzione. Pazienza. Stavolta almeno non siamo dalle parti dell’ennesimo sequel/remake/found footage, ed è già un miracolo.
L’assunto di partenza del film (un costume da pagliaccio infestato da un demone) richiede da subito una discreta dose di sospensione dell’incredulità, anche da parte del fan più oltranzista; una volta superato questo primo ostacolo, però, l’esordio di Jon Watts sembra quasi in grado di padroneggiare la materia con una certa destrezza, complice tutta una serie di stimoli e suggestioni che fanno capolino tra le pieghe della pellicola.
Il tema, tutto americano, è ancora quello di un orrore ancestrale che trova un proprio mezzo di propagazione attraverso le figure del folklore e della tradizione, arrivando a minare il nucleo e il cuore pulsante della società statunitense: la famiglia. Inoltre mai si era visto, almeno in tempi recenti, un tale accanimento sulla figura dei bambini, cercando di trasformare il film in una sorta di fiaba gotica, nera e crudelissima, sull’infanzia a stretto contatto con l’orrore.
Non sarebbe stato nulla di nuovo, ma sarebbero comunque state idee: peccato invece che Watts non riesca mai a svilupparle, accennando in un paio di occasioni un tono grottesco che viene subito abbandonato per strada da una messa in scena ancora povera e acerba; così come abbandonati a se stessi sono pure tutti gli stimoli e gli spunti di cui sopra, in un film che non ha mai il coraggio di andare fino in fondo e finisce presto per bruciare tutte le sue (discrete) potenzialità.
Molto meglio, piuttosto, sempre in tema di pagliacci e bambini, uno slasher puro e semplice come Clownhouse di Victor Salva (1989), dove almeno la questione dell’infanzia a contatto con le proprie paure veniva sviluppata in maniera certamente più coerente ed efficace. Più che un brutto film, quindi, una grande occasione mancata; ma molto spesso sono proprio queste ad irritare di più.
Il clown ha dato forfait e la festa per compleanno di Jack rischia di essere un disastro. Per fortuna suo padre Kent trova in soffitta un misterioso vecchio costume da clown e salva la situazione. Finita la festa, però, l’uomo non riesce più a togliere trucco e costume, che lentamente sembrano fondersi con la sua stessa pelle. Kent, alla ricerca di un modo per liberarsi del costume maledetto, viene a conoscenza di una terribile leggenda ormai dimenticata