Nonostante l’inizio della sua carriera avesse illuso sul suo successivo sviluppo, Tom McCarthy si è spesso dimostrato regista diseguale, protagonista in alcune occasioni di scelte addirittura incomprensibili. Perché se è vero che gli Oscar per Il caso Spotlight hanno certificato il culmine di un’ancora breve parabola, preceduta da L’ospite inatteso e dall’eccentrico esordio The Station Agent, è altrettanto vero che lavori come Mr Cobbler e la bottega magica o la favoletta Disney Timmy Frana - Qualcuno ha sbagliato, uscita durante il primo lockdown su Disney+ (non vi preoccupate se non ve ne siete accorti, anche chi l’ha visto non si è realmente accorto di averlo fatto), rappresentano sfondoni difficili da giustificare in una filmografia di alto livello.
La ragazza di Stillwater risente di questa perdita di credibilità subita da parte della maggior parte della critica internazionale, probabilmente spiazzata e indispettita da un’incostanza che sa tanto di incoerenza espressiva. E invece in quest’ultimo lavoro, la coerenza c’è, perlomeno quella dei lavori migliori. Perché La ragazza di Stillwater è molte cose, riunite in un film di quasi due ore e venti con una narrazione dall’inconsueto schema sinusoidale, e tutte filtrate dal tema caro al regista del confronto – e talvolta dallo scontro – tra culture differenti. Come fu con ogni evidenza per L’ospite inatteso ma anche nell’accezione trasversale tra consuetudine dell’occultamento e logica dello svelamento proposta da Il caso Spotlight.
Ricalcando nei punti essenziali la vicenda di Amanda Knox e Meredith Kercher di ormai quattordici anni fa (con la Knox stizzita perché convinta che se ne sia sfruttato il caso), racconta la storia di un padre (Matt Damon), roughneck dai modi semplici ed educati ma piuttosto assente nei suoi doveri passati di genitore, talmente convinto dell’innocenza della figlia detenuta da cinque anni a Marsiglia per l’omicidio della sua compagna di stanza al punto da indagare in proprio per far emergere nuove prove per scagionarla. Per narrare quest’improvvisa presa di coscienza di un uomo verso i suoi affetti a lungo demandati (a una nonna) e intimamente sollecitato dalla convinzione (della figlia) della sua sostanziale inadeguatezza, McCarthy ha riunito un pool di sceneggiatori di varia origine e sensibilità (lo stesso McCarthy e Marcus Hinchey in rappresentanza americana; Thomas Bidegain, abituale collaboratore di Audiard, e Noé Debré, che con Audiard e Bidegain ha scritto Dheepan, per la controparte francese), con il preciso scopo di dare credibilità al conflitto tra due modi antitetici di intendere il mondo, le relazioni e anche il concetto di verità.
In questo senso, ciò che permea la lettura dell’intera vicenda è la diversità esistente tra un personaggio della profonda provincia americana, proveniente dalla fissità pianeggiante di Stillwater, Oklahoma, membro di quella che un tempo si chiamava maggioranza silenziosa che magari non ha votato Trump ma che per formazione e inclinazione avrebbe potuto tranquillamente farlo, profondamente educata, dimessa e religiosa, di quella religione di facciata e ipocritamente deformata, che nel nome di Dio legittima tutto, dalla gratitudine per i pasti ai soprusi condotti nella convinzione di averne pieno diritto. Matt Damon incarna perfettamente questo autentico emblema antropologico, dotandolo di una personalità convincente senza mai scadere nel facile cliché, adottando tutta una serie di manie caratteristiche (ad esempio, la ripetizione con cadenza militaresca del suo ossequioso «Yes, Ma’am»), di pose ruvide, di sguardi quasi mai completamente a fuoco e mostrando una tenerezza trattenuta per timore di eccessiva implicazione che è ammirevole per misura ed equilibrio.
Se la storia fosse stata ambientata negli Stati Uniti e McCarthy fosse un regista action, avremmo avuto una vicenda simile a quelle che hanno come protagonista Liam Neeson nei panni del padre-protettore dai metodi poco ortodossi che tutto risana, come è stato notato da più parti, ma la forza de La ragazza di Stillwater sta proprio nel tentativo di ibridazione tra il pragmatismo americano che Bill/Matt Damon cerca di esportare e la miriade di sfumature, di accenni e di allusioni necessarie a sopravvivere nella banlieue di Marsiglia, dove la delinquenza romantica da Vieux Port di Jean-Claude Izzo si è trasformata in tattile degrado e le incongruenze sociali di Guédiguian esplodono senza mai ricomporsi.
Siamo oltre i (comunque apprezzabili, sia chiaro) territori di genere alla French Connection 2: lo scontro di mentalità non è ostacolo drammatico, quanto un interrogativo etico che investe la società (entrambe: quella americana e quella europea, come conseguenza più ampia di quella francese), le proprie convinzioni e la legittimità del proprio ruolo. È per questo motivo che l’indagine di Matt Damon, sconnessa, basata su supposizioni e semplici speranze, si arena dopo circa un’ora e il film si trasforma in altro, deformando da ogni parte la sua struttura, ora rallentandola, ora accelerandola, assumendo un ritmo più vicino alla quotidianità che alle consuetudini caratteristiche di un thriller. Ed è qui che il film sviluppa tutti i suoi sottointrecci, in modo da caratterizzare ulteriormente il senso globale di una trasformazione che trascende il concetto di verità, perché appartiene alla sfera personale e non all’intreccio, ripiegato invece in una sfera morale che incide sull’amara consapevolezza individuale.
Più che tra due luoghi differenti separati, oltre che dalla lingua, dalla convinzione che basti l’essenzialità dell’azione per perseguire uno scopo, il reale confronto su cui si basa La ragazza di Stillwater, alla fine, è tra due paesaggi di una stessa anima, scissi tra un passato che si reputa immutabile e un presente shockante, in grado, con la sua inattesa rivelazione, di modificare tutto quanto percepito in precedenza.
Bill Baker, un trivellatore di petrolio dell’Oklahoma, viaggia fino a Marsiglia per incontrare sua figlia Allison, che non vede da anni. La ragazza si trova in prigione a causa di un omicidio di cui si dichiara innocente. L’uomo dovrà affrontare un sistema legale sconosciuto, molte barriere culturali e linguistiche, e personali per scagionare la figlia. AMarsiglia, Bill conosce una donna del posto e sua figlia, con cui lega così tanto da riuscire, grazie a loro, a guardare oltre i propri confini.