Si può raccontare il mondo di oggi, fatto di contraddizioni sociali sempre più acute, di intolleranze religiose, di guerre che non finiscono mai, pensando alla peste del 1348 e al Decameron di Boccaccio? Se l’idea viene ai fratelli Paolo e Vittorio Taviani, i grandi vecchi del cinema italiano (hanno passato entrambi gli ottanta e il loro esordio risale a qualcosa come 61 anni fa) la risposta è sì.
L’espediente narrativo, che tutti conoscono, era già a portata di mano. Lo scrittore fiorentino lo impiegò a metà del XIV secolo per mettere a punto una delle opere cardine della nostra letteratura, vero e proprio modello di prosa in volgare, protomoderna: per fuggire dal clima di terrore e di morte che la peste ha diffuso in città, dieci giovani, sette femmine e tre maschi, decidono di rifugiarsi per circa due settimane in una villa sulle colline di Firenze (quella del film si chiama Villa La Sfacciata). Durante questo tempo sospeso, ciascuno racconterà una novella, e ogni giorno ne saranno raccontate dieci.
Maraviglioso Boccaccio ne raggruppa cinque e a impersonarle sono attori celebri del grande schermo: da uno stralunato Kim Rossi Stuart nei panni del “tonto” Calandrino burlato dai compagni di bottega Bruno e Buffalmacco, all’eterea Vittoria Puccini nel ruolo di Monna Catalina, abbandonata dal marito perché giudicata morta e riportata in vita dall’innamorato Messer Gentile Carisendi (Riccardo Scamarcio); Josafat Vagni è Federigo degli Alberighi, pronto a sacrificare ciò che ha di più caro pur di onorare la sua ospite, Monna Giovanna (Jasmine Trinca); Kasia Smutiniak veste gli abiti neri della vedova Ghismunda, figlia del nobile Tancredi (un Lello Arena in stato di grazia), contrario alla sua nuova passione per il garzone Guiscardo (Michele Riondino); non manca il racconto licenzioso sulla badessa Usimbalda (Paolo Cortellesi), che vorrebbe punire suor Isabetta (Carolina Crescentini) per essersi portata un uomo nella cella del convento ma è la prima a riconoscere che alla carne, più che al cuore, non si comanda...
La “cornice” bucolica, rappresentata dai ragazzi riuniti nella villa che tra un bagno e una passeggiata scandiscono il ritmo e l’ordine delle novelle (gli attori sono stati scelti dopo centinaia di provini) non rappresenta una fuga regressiva verso un luogo ideale e astratto, l’unico dove poter condurre una vita innocente e serena, quanto, piuttiosto, un necessario momento di ristoro per lo spirito, grazie al quale donne e uomini, guidati dalla propria etica individuale e da passioni tutte terrene (ecco la lezione modernizzante del Decameron), acquistano un nuovo sguardo su se stessi e sul mondo.
Con inossidata vivacità intellettuale (Cesare deve morire, Orso d’Oro a Berlino nel 2012, ha interrotto un digiuno di premi che per l’Italia durava dal 1991), i Taviani realizzano un film rarefatto e poetico, di una compattezza visiva e formale che incanta, dove le inquadrature geometriche di sapore giottesco fanno da contrappunto a suggestioni figurative sempre misurate e coerenti, mai illustrative (a dominare sono il blu e il rosso di tanta pittura italiana trecentesca e il verde limpido e intenso dei paesaggi della Val d’Orcia). Film impalpabile e al tempo stesso materico, attraversato da una sensualità casta e soave, quella che traspare dai profili, dalle espressioni, dai gesti delle tante figure femminili protagoniste delle novelle.
Abituati a stimolanti e problematiche riletture di grandi autori del passato (Goethe ne Le affinità elettive, Pirandello in Kaos, Tolstoj per San Michele aveva un gallo e Il sole anche di notte, ma l’elenco potrebbe continuare), i Taviani sono considerati i capostipiti di un cinema sovversivo e militante che ha rivisitato le tappe cruciali della nostra storia recente, dal Risorgimento alla Resistenza, con le lenti ideologiche del presente (“utopisti ed esagerati” li definì Lino Micciché in un saggio critico di tanti anni fa).
Nella speranza che si risvegli il desiderio di creare comunità e di raccontare, Maraviglioso Boccaccio tenta con profondità e grazia di rischiarare la nube, nera come la peste, che sembra avvolgere il mondo contemporaneo. Inquadratura dopo inquadratura, i Taviani svuotano la nostra mente così piena di caos, di brutture e la riempiono di silenzi, di spazi incontaminati, di natura, di bellezza. Le novelle di Boccaccio, che rianimano il fuoco mai sopito dei sentimenti umani, fanno il resto. C'è ancora l’odore della morte là fuori, nel 1348 come nel 2015, sembrano dirci. Ma bisogna tornare a vivere, con coraggio e fiducia, guidati da una rinnovata consapevolezza. Magari dopo essersi abbracciati e salutati in una notte scura di pioggia.
Lo sfondo è quello della Firenze trecentesca colpita dalla peste, che spinge dieci giovani a rifugiarsi in campagna e a impiegare il tempo raccontandosi delle brevi storie. Drammatiche o argute, erotiche o grottesche, tutte le novelle hanno in realtà un unico, grande protagonista: l’amore, nelle sue innumerevoli sfumature. Sarà proprio l’amore a diventare per tutti il migliore antidoto contro le sofferenze e le incertezze di un'epoca.