Film drammatici basati su eventi reali: è la definizione che Frederick Wiseman, a Venezia fuori concorso con le quattro ore di At Berkeley, dà dei (suoi) documentari. Se la specificità del cosiddetto cinema del reale è filmare la realtà per rendere visibile ciò che in essa è contenuto, nascosto, non conosciuto o dimenticato, e da qui partire per la strutturazione di un pensiero nuovo, cosa significa il Leone d'Oro a Sacro GRA?
Bernardo Bertolucci, presidente di giuria, ne ha parlato come di un premio dovuto alla "sorpresa" e in effetti il film arriva ora nelle sale – cosa non scontata per un documentario – portando sui nostri schermi una forma e un linguaggio, se non davvero nuovi e unici, quantomento inconsueti per un pubblico (italiano) non specificamente festivaliero.
Quello di Gianfranco Rosi è uno sguardo che cela, dietro l'osservazione a distanza e la viva curiosità verso i personaggi, una controllata messa in scena. Rosi guarda e ascolta, è vero, ma ciò che mostra nei frammenti di vita del raccordo anulare è deciso a priori: si tratta di scovare protagonisti interessanti, portatori di qualità che abbiano una buona resa cinematografica (la parlantina polemica dell'anguillaro, l'eloquio elegante del nobile, l'istintivo talento umoristico dell'attore) e giustapporli – provocando, se necessario, situazioni e reazioni – per comporre un mosaico umano divertente, accurato, toccante ma privo di vere scosse percettive.
Rosi della realtà prende e usa ciò che gli serve e in questo senso ha ragione quando si definisce un narratore e non un documentarista. Nel panorama spesso piatto e conformista del documentario italiano, il film ha comunque un'idea di cinema a cui va riconosciuta personalità, applicata peraltro a un progetto su commissione (del paesaggista Nicolò Bassetti).
Tuttavia, senza scomodare Wiseman, persino un documentario ambiguo ma molto accattivante ed entertaining (nel senso più americano) come The Unknown Known di Errol Morris, anch'esso in concorso a Venezia, pungola gli spettatori verso una visione più critica, stimolante e problematica di quanto faccia Sacro GRA.
Un nobile piemontese e sua figlia laureanda, assegnatari di un monolocale in un moderno condominio ai bordi del Grande Raccordo Anulare cercano di far passare il tempo e il caldo costretti come sono negli spazi angusti della loro temporanea situazione abitativa. Un botanico cerca il rimedio per liberare le palme dall’invasione delle larve divoratrici capeggiate dal devastante Punteruolo rosso che sta minacciando la sua intera oasi adagiata ai bordi del Raccordo. Un principe moderno di mattina fa ginnastica con un sigaro in bocca sul tetto del suo castello che sorge come d’incanto ai margini di una periferia informe a un’uscita del G.R.A., trasformandolo come per magia in bed&breakfast, in sala convegni, in set per il cinema e la televisione e talvolta in teatro dove vanno in scena fiabe in costume. Come fosse un astronauta del primo soccorso con la sua divisa fosforescente su di un’autoambulanza luminosa, un barelliere del 118 presta servizio sull’anello autostradale riscaldando infreddoliti barboni caduti in una canale di scolo, medicando giovani amanti della velocità con la macchina accartocciata lungo il guardrail, rianimando sconosciuti infartati e coccolando un’anziana donna nelle cucina della sua casa solitaria. Un anguillaro vive sul fiume Tevere all’ombra di una serie di cavalcavia navigando e pescando e dispensando ai curiosi capitati la sua antica e saggia filosofia di vita. Lontano dai luoghi canonici di Roma, il Grande Raccordo Anulare si trasforma in collettore di storie a margine di un universo in espansione.