Il primo lungometraggio di finzione della regista Maura Delpero si sviluppa all’interno di un microcosmo in cui convivono sacro e profano: l’hogar è una casa-famiglia religiosa italo-argentina che, a Buenos Aires, ospita e accoglie le ragazze madri, come le giovanissime amiche Lu e Fati, la prima con una figlia, la seconda incinta e con un figlio. A vegliare su di loro, tra carità cristiana e regole severe, ci sono invece le suore del centro, a cui si aggiunge la novizia suor Paola, giunta dall’Italia per completare il suo percorso spirituale e prendere i voti perpetui.
Dentro questo piccolo grande mondo convergono le vite di donne diverse, che si confrontano, come annuncia il titolo del film, con l’idea di maternità. Le adolescenti che si trovano a essere, spesso senza averlo deciso, madri fin troppo presto si contrappongono alle suore che, per loro scelta, non possono avere figli. Sono due dimensioni che, come rette parallele, si guardano senza toccarsi mai. Sul piano visivo, la regista suggerisce questa distanza e delimita gli spazi: quando le donne del centro si recano in chiesa in fila indiana, le suore sono disposte sul piano superiore, mentre sotto seguono le ragazze, oppure durante la festa le giovani ballano in una stanza, mentre le religiose aspettano dietro a un muro. In Maternal ci sono piani distinti, porte chiuse e finestre dalle quali si osserva la diversità a distanza di sicurezza.
Ad avvicinare questi due universi c’è suor Paola, animo gentile e umanissimo che supera i confini e annulla le distanze, in particolare quando avverte un forte istinto materno verso Nina, la figlia di Lu. È lei che, oltrepassando i limiti, attraversa con empatia e naturalezza questi due mondi, come quando si reca furtiva, di notte, nelle stanze dove dormono le ragazze e porta la piccola Nina con sé nella sua camera, dandole un sereno e affettuoso riparo contro la tristezza e l’abbandono. Suor Paola è l’unica che, tra le figure rigide e biancovestite delle consorelle e quelle colorate delle ragazze, cambia il suo aspetto: se di giorno indossa la tonaca e si conforma al codice d’abbigliamento sacro, la sera si toglie il velo, si scioglie i capelli e si avvicina un po’ di più ai corpi liberi delle adolescenti; è una donna che incarna una contraddizione e il suo amore materno coabita con la sua devozione religiosa.
La regista, che anche nel cinema di finzione si lascia guidare dalla sua esperienza nel documentario, si sofferma sui volti (soprattutto quelli delle tre brave protagoniste) e sui corpi delle donne che vivono nell’hogar, e lo fa in maniera educata, rispettosa, forse un po’ troppo composta, eliminando visivamente eccessi o estremizzazioni. Delpero lavora su corrispondenze e opposizioni visive, tenendo al centro del suo film il discorso sulle tante forme che la maternità assume.
Buenos Aires. Lu e Fati sono madri adolescenti che vivono in una casa famiglia religiosa. Dall’Italia arriva Suor Paola, in procinto di prendere i voti perpetui. L’incontro tra le tre donne e il loro rapporto con la maternità scateneranno reazioni inaspettate. Adolescenze strappate bruscamente al flusso naturale della crescita, donne che sono ancora ragazze e già madri.