In una Londra simil-vittoriana il dottor Godwin Baxter (Willem Dafoe), detto anche God, figlio di un chirurgo che ha praticato su di lui ogni sorta di sperimentazione, e che l’ha sostanzialmente sfigurato e reso un eunuco, insegna alla facoltà di medicina; nella sua abitazione, realizzata in un rivisitato e visionario modern style (o Art nouveau, o Jugendstil che dir si voglia), Baxter pratica a sua volta interventi su animali e umani. Da questa attività dipendono le graziose e vivaci chimere da giardino che gli ingombrano il prato dietro casa, ma soprattutto la presenza al suo fianco di Bella (Emma Stone), una giovane che è il frutto dell’innesto tra il corpo di una donna morta suicida raccolto nelle acque del Tamigi e il cervello della bambina che questa portava nel ventre, sopravvissuta al suicidio della madre.
Da subito siamo di fronte a una situazione estrema, secondo una linea alla quale il cinema di Yorgos Lanthimos ci ha abituati fin dagli esordi, un microcosmo con regole, anche fisiche, leggermente differenti da quelle reali, una distopia steampunk dove non dobbiamo nemmeno riflettere troppo per sbrogliare gli elementi del dispositivo simbolico dei personaggi, a partire da Baxter, che è God, ovvero Dio, non da ultimo perché ha (ri)dato la vita a Bella e l’ha piazzata in un Eden bizzarro, e per lei è quindi padre e creatore al tempo stesso. Questa volta però si tratta, per la prima volta, di un adattamento, scritto da Tony McNamara, già sceneggiatore de La favorita: Poor Things (titolo originale di Povere creature!), infatti è un romanzo del 1992 dello scrittore scozzese Alasdair Gray; un libro che non nasconde il riferimento all’universo creato da Mary Shelley con Frankenstein, a partire dal nome stesso del dottor Baxter, Godwin, che è anche il cognome da nubile della scrittrice inglese, figlia del filosofo illuminista William. C’è però un altro illuminismo sotteso al testo e quindi al nuovo film di Lanthimos, ed è quello del Voltaire di Candido (e per certi versi del Rousseau di Emilio), insieme a tutto l’armamentario di un positivismo scientista fin de siècle, palesemente dissacrato.
A proposito di quest’ultimo aspetto è proprio l’elemento steampunk, da ottocento tecnologicamente potenziato, a fare la differenza, condizionando l’aspetto visuale. Il libro nell’edizione originale aveva una carica visiva di partenza già elevata, dal momento che Gray, anche pittore, aveva provveduto alle illustrazioni; eppure creando l’universo di Povere creature!, Lanthimos sembra guardare a quelle immagini più come a uno spunto, a uno stimolo a ripensare l’immagine, l’immaginario, che non all’indicazione di una linea stilistica precisa; e infatti, con i due scenografi James Price e Shona Heath, oltre a prevedere delle scene, soprattutto in esterno, che sembrano uscire dal mondo di Karel Zeman, preme vistosamente sul pedale degli aspetti organici, per non dire anatomici, dell’Art nouveau, dove i costumi disegnati da Holly Waddington si integrano coerentemente, anche quando sono ancora più palesemente anacronistici, soprattutto quelli sempre più corti o trasparenti della protagonista.
Bella è una tabula rasa, inizialmente un’infante in un corpo adulto, deve riapprendere tutto della vita, partendo dalle funzioni elementari del corpo. Per accompagnare il processo di crescita della sua creatura, ma anche per farsi aiutare nelle attività ordinarie, Godwin prende come proprio assistente Max McCandles (Ramy Youssef), l’unico dei suoi studenti universitari a non guardarlo con disprezzo. È quasi inevitabile che il giovane medico rimanga incantato dai progressi di Bella, ma soprattutto da quella che a suo modo si sviluppa come una forma di grazia, che non è solo l’inequivocabile avvenenza esteriore, ma la maniera di guardare senza filtri la realtà, perlomeno inizialmente quella allestita da God apposta per lei, rapportandosi con essa. È con la stessa grazia senza filtri che la giovane decide di andare a conoscere il mondo, e il sesso, con Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo), avvocato un po’ sordido e al tempo stesso debosciato, partendo da Lisbona (esattamente come Candido e Pangloss) e lasciando Max in attesa, in rispettoso standby.
D’altronde Bella non viene esattamente educata, piuttosto Godwin le garantisce la possibilità di crescere per passaggi empirici, inizialmente protetta dai condizionamenti del mondo esterno, e in questo ha un ruolo fondamentale la progressiva scoperta del piacere, esplicitata secondo un processo che mette a nudo i meccanismi repressivi, gli automatismi indotti dalle convenzioni sociali (un ego che si costruisce senza le limitazioni del super-ego, verrebbe da dire, se non fosse che la psicanalisi è lasciata cortesemente fuori scena). Ovviamente questo genera i principali momenti di comicità del film, dalla scena con la governante di Baxter che reagisce in maniera in fondo anche contenuta a fronte di un invito assolutamente candido da parte della ragazza a masturbarsi – e arriva a toccarle le hairy parts, perché possa provare anche lei la felicità, dando una dimostrazione pratica immediata con un cetriolo –, alla scena in cui Bella sul piroscafo verso Lisbona incontra l’aristocratica Martha von Kurtzroc (Hanna Schygulla), e le rivolge il saluto «Buongiorno, donna ben più anziana», per poi addentrarsi in una conversazione disinvoltissima sulla residuale attività sessuale della medesima, che reagisce in maniera intelligente e divertita.
Ed è quasi inutile dire che l’effetto è generato proprio dal confronto tra il candore della giovane e le convenzioni che noi spettatori abbiamo interiorizzato, con i tabu e con le ipocrisie che sottendono i comportamenti sociali “accettati”, con l’assoluta assenza dei concetti di colpa o di vergogna nel bagaglio di Bella. Si tratta appunto di una comicità che si confronta costantemente con la centralità del corpo e delle sue esperienze sensibili, ed è difficile immaginare il film senza Emma Stone, perfetta, per non dire straordinaria, corpo esile e lineamenti fanciulleschi, nel traghettare il personaggio da una situazione iniziale di bambola adulta e pre-cognitiva a quella di un’emancipazione inaudita e complessa. Un corpo che, quando Bella praticherà la prostituzione avvicinandosi al socialismo, a Parigi, è affettuosamente definito “il mio mezzo di produzione”.
Ovviamente, a proposito di bambole e di emancipazione, è impossibile non pensare a un confronto con Barbie, in cui però forse vince Bella. Questa muñeca tirada de la basura, rianimata dentro alle inquadrature chiuse, grandangolari, spinte, di Lanthimos, è offerta al mondo senza il filtro del brand di una multinazionale del giocattolo e con una libertà inimmaginabile in una produzione targata USA. E alla fine quel Poor Things/Povere creature commiseratorio del titolo sembra accompagnare lo sguardo di Bella verso di noi, e non viceversa. «Polite society will kill us».
Nella Londra vittoriana lo scienziato Godwin Baxter riporta in vita una giovane donna morta suicida trapiantandole il cervello del feto che portava in grembo. Con un corpo da adulta e una mente da neonata, Bella vive sotto la protezione di Godwin, mentre le sue facoltà mentali crescono rapidamente. Desiderosa di conoscere il mondo, fugge con un avvocato scaltro e dissoluto. Libera dai pregiudizi del suo tempo, Bella troverà il modo di emanciparsi scardinando le regole della società.