Sullo schermo nero cupo compaiono titoli sommessi e luci al neon che saettano veloci verso il punto di fuoco in fondo al buio pesto di una galleria. La soggettiva ci coinvolge in questo viaggio sotto Hong Kong a fianco di Laura Poitras, filmmaker giornalista scomoda, diretta all’Hotel Mira. Il cinema è anche suono che avvolge questa astrazione visiva, con il vento e la voce di Poitras che ci legge il testo di una mail:
«In questo frangente, non posso dare in garanzia nient’altro che la mia parola. Sono un impiegato di rango medio che lavora nella comunità del controspionaggio».
Il mittente si nasconde dietro uno pseudonimo: Citizenfour, appunto. È stata questa mail il primo contatto di Edward Snowden con la giornalista nel gennaio del 2013. È già storia questa storia, giacché quando Citizenfour è uscito in anteprima a New York e a Londra l’ottobre scorso, la stagione del dibattito si era concluso. Eppure, Poitras trova il modo di penetrare il nostro presente col suo film.
L’oscurità anticipa l’atmosfera di pericolo imminente che si trasmette a chi guarda con tutta l’urgenza di un momento qualsiasi; ma questo è subito evento. In qualche modo, lo schermo si fa mondo. Ci sentiamo coinvolti in prima persona o «interpellati», come diceva Althusser; non da chi detiene il Potere, però, ma da chi lo contrasta. Si stagliano netti i caratteri bianchi della mail contro il grande schermo, aprendo un varco nell’era interattiva del Web Due. Viviamo in due mondi contemporaneamente. Nonostante ciò che dice lo Jean Baudrillard di Simulacri e Simulazioni (1985), le rivelazioni di Snowden dimostrano quanto sia reale il mondo virtuale.
Nella camera d’albergo, negli scambi fra Snowden e Glenn Greenwald, a cui assiste silenziosa la Poitras, dominano l’ansia e l’attesa, e le pause di Snowden si estinguono in lunghi silenzi. Lui si trova alla frontiera, fra due condizioni umane possibili. In questi tempi morti che in Citizenfour sono tempi vivi, Snowden getta lo sguardo oltre un’altro schermo: la finestra e il probabile arresto repentino o il rapimento alla luce del giorno nella terra di nessuno che è Hong Kong. (...)
Citizenfour è l’equivalente cinematografico del «momento decisivo» teorizzato dal fotografo Cartier-Bresson (momento in tempo reale anche, ma immagine in movimento) che anticipa a modo suo la poetica dell’evento di Gilles Deleuze e di altri filosofi francesi, che a loro volta hanno il proprio antecedente nelle pagine di Hegel sulla storia nel suo farsi.
Non c’è segno della struttura americana del film come racconto, con la tipica catarsi del gran finale e una conclusione spettacolare. Al suo posto, Poitras (e la sua montatrice francese) offre allo sguardo gli elementi essenziali di un problema; un qualche cenno al contesto in cui si è mosso Snowden e un clima di opposizione crescente a una società stile Alphaville (1965) di Jean-Luc Godard o del romanzo 1984 di George Orwell.
Ma allora, dove è la conclusione? Il paradosso è che si trova nel durante, quel 9 giugno in cui Snowden rivela la sua identità al mondo, in una intervista filmata da Poitras (che si può ancora consultare in rete, peraltro) e subito caricata sul sito del Guardian. (...)
Dove collocare questo film? Viene in mente la tradizione del documentario critico degli anni Sessanta che risale a prima delle interruzioni brechtiane, poi diventate maniera anche loro, con radici in quel confronto con il reale che da noi Cesare Zavattini teorizzava e chiamava «pedinamento». Anche la cinepresa della Poitras si dispone «con la gente, in tempo reale, affrontando le decisioni della vita», come ha spiegato lei stessa in un’intervista. Sembra di trovarsi nel tempo presente di un Albert Maysles che segue John Kennedy in mezzo alla folla in Primary (1960) ed è vero che lei si riferisce ai Maysles come ad un modello ideale. Lo stile della Poitras comunica quello stesso clima esilarante. Ciò non cambia che il modo in cui lei si rapporta al soggetto appartiene all'altrove; viene in mente il Chris Marker di Le Joli Mai (1963) dove Marker è implicato nel film in prima persona, come lo è anche la Poitras in Citizenfour. Dunque, non tanto il Direct Cinema americano di Maysles e altri, quanto il Cinéma Direct francese, piuttosto, in cui il filmmaker è anche soggetto partecipante. Soggettivo e oggettivo al contempo? Ma come è possibile? Eppure, forse, non c’è contraddizione, dopo tutto.
Il titolo del film coincide con il nome scelto da Snowden, prima che svelasse la propria identità. Nel momento in cui una persona agisce in qualità di soggetto – politico o anche solo etico, se volete – oltrepassa la sfera del privato e acquista (o forse in un certo qual senso arriva a meritarsi) la cittadinanza. Poitras ha detto in un’altra intervista: «così non va». In altre parole, questo stato di cose non è accettabile, non lo si deve tollerare. Ma piuttosto che assalire il pubblico con tecniche alla Michael Moore o interviste serrate da interrogatorio alla Errol Morris, Citizenfour si pone il problema del malgoverno in modo obliquo: che dinamica si innesca quando la società civile mette in questione o si oppone agli ingranaggi dello stato? (...)
Christian Metz si chiedeva in un saggio sul cinema come linguaggio cosa rimanga di un film, facendo notare come la memoria esegua un suo montaggio supplementare dopo la visione. In Citizenfour cosa rimane, allora? Il singolo che resiste il farsi personaggio suo malgrado. «L’assorbimento» che Michael Fried attribuisce ai personaggi delle fotografie di Jeff Wall - che, secondo il critico, le trasformerebbe in arte, vivrebbero cioè una vita estetica tutta loro e del tutta autonoma rispetto all’osservatore - in Citizenfour è rovesciato. Perché su questo schermo particolare il personaggio è rimasto persona e se di assorbimento si può parlare, questo non riguarda un personaggio filmico, ma la persona reale, indice e figura al contempo. Il nostro assorbimento disturba l’aura potenziale dell’opera, e lo spazio vuoto, svuotato di azione, si popola, diventa agorà, sfera pubblica, lebensweldt, nel senso inteso da Habermas. Ed è questa dimensione che viene esclusa in genere dai documentari che ci interpellano in altro modo. Per questo, il cinema non equivale più a inquadrature e tagli. Piuttosto, oltre la microstoria dell’attualità, i casi particolari del qui e ora qui riconducono agli universali della storia. In questo senso allora, Citizenfour diventa allegoria moderna.
David Brancaleone insegna storia (e teoria) dell’arte e del cinema a Limerick School of Art and Design, Limerick Institute of Technology, dal 2006. Questo estratto è una traduzione dell'articolo comparso in "Enclave Review 13" (Primavera 2015). L’autore ringrazia Lorenzo Pellizzari e i redattori di Enclave, Fergal Gaynor e Ed Krčma. L'articolo completo verrà pubblicato sulla rivista "Cineforum".
Ricostruzione della vicenda di Edward Snowden e dello scandalo sulle sorveglianze illegali della NSA americana raccontato dallo stesso protagonista.