«Sorry we missed you» è quello che sta scritto sull'avviso che i corrieri che consegnano le merci a domicilio lasciano in buchetta quando non trovano i clienti. Un lavoraccio: ritmi disumani, orari sotto rigido controllo elettronico, se ti ammali e perdi un giorno o qualche ora di lavoro non solo non guadagni, ma paghi anche pegno (cioè il costo di chi ti rimpiazza).
Se per di più, come capita a Ricky Turner, il protagonista del nuovo film di Ken Loach, hai anche comprato il furgone, devi finire di pagarlo e sei senza assicurazione, resti senza nessun paracadute. Prima Ricky ha fatto un po' di tutto (come ci racconta la stringata scena iniziale dove, a schermo nero, la sua voce elenca i lavori precedenti); poi ha deciso di mettersi in proprio per comprare una casa, e si è messo con una franchise di consegne a domicilio e, da buon nuovo "imprenditore", è costretto a gareggiarecon se stesso, con i suoi ritmi, con i suoi affetti, con la sua umanità. Quattordici, quindici ore di lavoro al giorno, al volante sugli svincoli intasati delle cinture industriali inglesi, senza più un momento da dedicare ai figli e alla moglie Abbie. Che, a sua volta, fa l'infermiera a domicilio (pagata a visita), ha cura e simpatia per i suoi pazienti, ma impiega un tempo interminabile per raggiungerli, adesso che ha venduto la sua piccola auto per versare la prima rata del furgone. Così, una bella famiglia felice di Newcastle, solidale su un'illusoria aspettativa d'indipendenza, si sgretola in fretta sotto i colpi degli inconvenienti quotidiani, della stanchezza, la tensione, l'ansia che cresce. Il figlio diciannovenne, writer scontroso in piena crisi di crescita, s'inasprisce ancora di più (soprattutto con il padre), mentre la bambina di undici anni è costretta a organizzarsi da sola la vita, sulle indicazioni che la mamma le detta al cellulare tra un bus e l'altro.
Ken Loach è sempre stato attentissimo alle condizioni e alla vita dei lavoratori più precari (basti pensare ai muratori di Riff Raff, 1991), scava tra le fasce deboli e i nervi scoperti, e Paul Laverty è lo sceneggiatore perfetto per questa storia. Ovvio, perciò, che Sorry We Missed You sia un film giusto, moralmente e storicamente ineccepibile. Peccato che non sia anche un film altrettanto buono di altri di Loach, che regista e sceneggiatore si siano dati troppo da fare nell'accumulare in tempi stretti una sfilza di accidenti piuttosto prevedibili. E che abbiano tralasciato quasi tutti quei momenti di acuto dolore o di sferzante humor che illuminavano le storie precedenti: qui, a parte la gag delle opposte tifoserie calcistiche tra Ricky e un cliente, l'attimo in cui una paziente pettina i capelli di Abbie e l'esplosione telefonica di Abbienel pronto soccorso, la storia resta incanalata su binari prevedibili.
Come se Loach e Laverty fossero stati intrappolati nella stessa ansiosa rincorsa dei loro protagonisti.
Newcastle. Ricky e la sua famiglia combattono contro i debiti dopo il crack finanziario del 2008. Una nuova opportunità appare all’orizzonte grazie a un furgone nuovo che offre a Ricky la possibilità di lavorare come corriere per una ditta in franchise. Si tratta di un lavoro duro, ma quello della moglie come badante non è da meno. L’unità familiare è forte ma quando entrambi prendono strade diverse tutto sembra andare verso un inevitabile punto di rottura.