Un grande schermo illuminato da biechi toni blu sovrasta come un antagonista due lunghe file di auto, parcheggiate non troppo a caso sul sentiero sterrato di quello che sembra l’erede degenere dei cari vecchi romantici drive-in. Il lento movimento di macchina abbassa il nostro sguardo fino ad incontrare il vetro appannato di una delle auto: all’interno, un uomo qualunque (Woody Harrelson), composto nel corpo e feroce nello sguardo, sembra reprimere una violenza che, per un momento trasfigurata e metaforizzata (alla maniera di Killer Joe), libera poi tutta la sua potenza.
Il prologo lascia spazio al titolo del film, accompagnato dalla chitarra melanconica dei Pearl Jam: le lettere che compongono Il fuoco della vendetta, traduzione italiana dell’originale Out of the Furnace, si dissolvono in un cielo sporcato dal fumo bianco e ordinato di una grande fabbrica. L’obiettivo si accende sulla storia di Russel Braze (Christian Bale), sorpreso a lavorare all’interno di una fabbrica, e sconfina verso le porte della sua vita, popolata dalle promesse d’amore alla fidanzata Lina, dai respiri affannati del padre malato, dall’affetto paziente e instancabile nei confronti del fratello Rodney.
Il primo piano, insistito e luminoso, di Bale (tornato in gran forma dopo l’”appesantita” performance di American Hustle) mette in luce un volto fotogenico, punteggiato da tratti che ricordano un’icona santa, e lo colloca in un immaginario cristologico, cui aderisce – quasi per associazione fisiognomica – l’inclinazione alla dedizione, alla fatica e al sacrificio del personaggio. La sua vocazione risponde soprattutto alla volontà di redimere il fratello, che, in attesa di partire soldato per l’Iraq, mette a dura prova la sua vita attraverso continui indebitamenti e incontri di lotta clandestini.
La missione di Russel è complicata da un incidente che gli costa una lunga reclusione, con tutto ciò che ne consegue. Ma il fuoco della giustizia non abbandona questo Giobbe moderno, che tenta di ricostruirsi una vita fino al giorno in cui cambia tutto. Seguono un'efficace sequenza centrale che associa in montaggio alternato una giornata di caccia e un massacro, animali macellati e sangue umano (si cita perfino Sciopero), per approdare a una storia di castigo e vendetta, consumata senza l’odio negli occhi ma con la composta e metodica accuratezza di chi lavora in fabbrica.
Il finale non reca sollievo a un film che, nonostante l’efficacia ritmica e narrativa, lascia l’amaro in bocca, forse per la scarsa originalità scenica e concettuale, forse per l’elevato tasso di arte attorica (Bale, Harrelson su tutti) non abbastanza sfruttata per scavare oltre gli stereotipi e le superficialità dei personaggi, forse per quell’epilogo senza fuoco (e in realtà anche senza vendetta).
Russell Baze non fa una vita facile. Di giorno operaio senza nessuna prospettiva di futuro nell'acciaieria locale; di notte si prende cura del padre malato terminale. Suo fratello Rodney, reduce da una missione in Iraq, resta coinvolto nel giro di una delle più brutali organizzazioni criminali del nord est degli Stati Uniti che organizza incontri clandestini di lotta. Quando Rodney scompare misteriosamente, di fronte all'incapacità della polizia di fornire delle risposte credibili, Russell, che non ha niente da perdere, decide di mettersi personalmente alla ricerca del fratello, rischiando la vita pur di scoprire che fine abbia fatto.