Sui marciapiedi, bislacca traduzione italiana del ben più felice Where the Sidewalk Ends, è un film noir del 1950 diretto da Otto Preminger, scritto da Ben Hetch (sceneggiatore di film quali Le notti di Chicago, Scarface ‒ lo Sfregiato, La signora del venerdì) e ispirato al romanzo Night Cry di William L. Stuart.
La pellicola racconta la vicenda del poliziotto Mark Dixon (un impeccabile Dana Andrews) che, a causa dei modi bruschi e violenti utilizzati nel catturare criminali, provoca accidentalmente la morte di Ken Payne (Craig Tevens), uomo sospettato di aver ucciso un ricco texano in una bisca clandestina, proprietà del gangster Scalise (Gary Merril). Certo di essere accusato e condannato, Dixon preferisce occultare le tracce dell’omicidio, cercando di far ricadere la colpa proprio su Scalise ma, dell’uccisione, viene accusato un taxista, padre della bellissima Morgan Taylor (Gene Tierney), di cui Dixon si innamora irrimediabilmente.
Sebbene la pellicola si inserisca nella grande produzione noir americana degli anni ’50, caratterizzata da un basso budget, racconti adrenalinici e da una crescente attenzione verso le tematiche sociali, (come testimoniato da Bandiera Gialla di Elia Kazan o Uomo Bianco, tu vivrai! diretto da Joseph L. Mankiewicz) Sui marciapiedi è un lavoro di confine, liminare.
Pellicola sui generis sia per la biografia cinematografica di Preminger sia per le modalità espressive e tematiche con le quali affronta il dramma poliziesco. Partendo dall’autore, Where the Sidewalk Ends è il film che connette il successo di Vertigine ai grandi capolavori della prima metà degli anni Cinquanta (Seduzione Mortale, La vergine sotto il tetto) e rappresenta un vero punto paradigmatico, poiché consente a Preminger di rielaborare la violenta e onirica tensione sessuale presente nel film degli anni Quaranta in vicende più esplicite, meno azzardate ma altrettanto tormentate e ambigue. È proprio il tormento interiore l’autentico protagonista della pellicola che, a differenza degli stilemi tradizionali noir¸ non viene sottolineato dai forti contrasti tra bianco e nero, bensì da una luce diffusa, enigmatica, ingannevole, che conferisce un’aura di estrema ambiguità all’intero lavoro. Non è un caso che la scena d’aperura si soffermi non solo su un comune marciapiede di New York ma, soprattutto, sui tombini di scolo dell’acqua sporca: il protagonista Mark Dixon incarna tanto l’eroe cinico e solido, legato alla giustizia e pronto a sacrificarsi per catturare i criminali, quanto l’antieroe trasandato, lacerato dai sensi di colpa, continuamente in bilico tra il bene e il male. Si tratta di un personaggio “liquido”, poco definito, appesantito e infangato da un passato ingombrante, mai dimenticato, che, ancor prima di lottare contro i gangster, deve affrontare le proprie ombre e dicotomie. Se ‘Noir’ è il corrispettivo dell’aggettivo latino nigrum, che deriva dal greco νεκρός (‘morto’), Sui marciapiedi mette in scena, con intelligenza e lucidità, un’assenza di luce nascosta, sottaciuta, e Preminger si rivela un maestro indiscusso nel mostrare l’apparente staticità che anima i suoi protagonisti, abito che pare velare la natura demonica sempre latente nell’essere umano, combattuto tra fatalismo, pessimismo e paranoia.
Ridistribuito in versione restaurata grazie all’iniziativa Happy Returns! di Lab80, Sui marciapiedi è uno di quei film in grado di ricordarci che il cinema vive di sfumature, di dettagli, di zone d’ombra e di luce ma, soprattutto, che la normalità altro non è che un intricato gioco di equilibri.
Il detective Mark Dixon viene degradato a causa del suo comportamento troppo brutale. Date queste premesse, nel momento in cui uccide involontariamente, in una colluttazione, un sospetto è perciò spinto a nascondere il cadavere e a tentare di attribuire ad altri la responsabilità dell'omicidio. In particolare, cerca di incastrare il gangster Scalise, ingaggiando con lui una vera e propria lotta personale.