«Quanto è semplice la morte: quanto è semplice e quanto ingiustamente è strappata via» (Miguel Hernández)
«It’s not about fear, it’s about love» (Sam a Tusker nel film)
Forse è ovvio da precisare, ma per capire Supernova, opera seconda (dopo Hinterland, 2014) di Harry Macqueen, è necessario comprendere qual è il suo oggetto: di che cosa tratta, davvero. E comprenderlo nel rispetto e nel silenzio, nell’ascolto di quello che ha da dirci. Perché i temi sono molti, a volerli banalmente elencare, e non facili: malattia, morte, eutanasia, omosessualità; e il film può apparire come un road movie, anche se per una buona metà si svolge in interni. Ma non è questo che conta.
Il film di Macqueen è innanzitutto una storia d’amore; un film sull’amore puro, incondizionato, che significa dedizione all’altro, rispetto, abnegazione e anche, però, accettazione. Accettazione di ciò che l’altro decide per se stesso, per la sua vita, in questo caso per la fine della sua vita. E capacità di lasciar andare («You have to let me go», dice Tusker a Sam in una scena chiave). Anche se questo significa accettare una scelta di suicidio; e rinunciare a ciò che si era faticosamente e con angoscia deciso, rimanere vicino all’altro fino alla sua morte.
Parlo dal punto di vista Sam, come si può capire, anche perché il regista ha dichiarato che gli interessava soprattutto questo, il punto di vista di chi si prende cura di una persona malata, in questo caso per una demenza senile che le consentirebbe ancora, al massimo, un anno di vita. E questo è un punto di vista inconsueto come del resto inconsueto è ragionare di malattia e morte di un personaggio che sta ancora abbastanza bene, portando l’elaborazione del lutto in una fase precedente a quella per cui normalmente si utilizza quest’espressione.
Sam, si diceva, sceglie di esserci, di stare insieme a Tusker fino alla fine, assistendolo; mentre questi ha fatto una scelta diversa, uccidersi nel momento in cui il compagno sta suonando in quello che dovrebbe essere il suo ultimo concerto (è un pianista, mentre l’altro è uno scrittore), in modo da salvaguardarlo. Anche dallo strazio di vederlo morire. Sam scopre tutto questo poco dopo la metà del film; prima abbiamo il loro ultimo viaggio in camper, l’arrivo nel luogo della loro giovinezza insieme e quello nella casa della sorella di Sam, con la festa a sorpresa che Tusker ha organizzato, per “salutare” gli amici e per ringraziare in pubblico il compagno per essergli stato vicino; per averlo amato.
A fronte di questo materiale incandescente lo stile di Macqueen è asciutto, pacato, discreto; guarda lui stesso con amore ai suoi personaggi e li mette in sintonia con il paesaggio autunnale, splendidamente fotografato da Dick Pope, a sottolineare la tenerezza e la tristezza che connotano, ora, il loro rapporto. Delicata nel raccontare i sentimenti forti, toccante e commovente è anche la recitazione dei protagonisti, Colin Firth e Stanley Tucci; Firth tra l’altro suona lui stesso, al piano, il Salut d’amour di Elgar della scena finale.
E poi la supernova: la passione di Tusker, l’esplosione che segna la massima brillantezza di ciò che in precedenza era una stella.
Sam e Tusker, partner da 20 anni, viaggiano attraverso l’Inghilterra a bordo del loro vecchio camper per far visita agli amici, rivedere i famigliari e ritrovare i luoghi del loro passato. Da quando due anni prima a Tusker è stato diagnosticato l’insorgere della demenza, il tempo insieme è sempre più prezioso. Diretto da Harry Macqueen con Colin Firth e Stanley Tucci, il film indaga, di fronte alle avversità, sul significato dell’amore.