Tornare a casa, per celebrare un funerale, e magari cercare una rinascita. Tornare nel passato, dove è sepolto un trauma rimosso, un episodio brutale che ha cambiato il corso di una vita (e non solo quella). Tornare alla dinamica esistenziale de La bestia nel cuore: in quel caso la verità riaffiorava dopo un viaggio di Sabina (Giovanna Mezzogiorno) negli Stati Uniti, nella casa del fratello maggiore; qui invece è il frutto del ritorno di Alice (sempre Giovanna Mezzogiorno) dagli States in Italia, un'immersione onirica dentro una città di Napoli ridotta (o trasfigurata, se preferite) a un cumulo di metafore, simboli, scorci pittorici, geometrie metafisiche, spazi interiori (costruiti intorno alla grotta-inconscio). Con tanto di matrioska, a inizio film, a segnalarci che non sarà un percorso narrativo lineare, che la fabula è racchiusa a strati nell'intreccio, un piano temporale dentro l'altro. D'altra parte, come ci dice Carlo Rovelli nella citazione iniziale, passato, presente e futuro non esistono, «il tempo è solo un modo per misurare il cambiamento».
Alice appare dietro uno “specchio”, i vetri di un'auto, su cui è riflessa la città di Napoli. Si capisce da subito che non si tratta di riappropriarsi di un luogo fisico, ma di uno spazio mentale, esistenziale. Il padre è morto, ma la sua memoria se n'era andata da tempo, soffrendo di alzheimer. Lei è quasi un fantasma, dimessa, insicura, visibilmente angosciata. E di fantasmi si popola la casa, provenienti dal passato. Anche quello più “vero”, un uomo di nome Marc, che ha accompagnato il padre nel suo delirio, ma che fa parte anche del passato rimosso di Alice. Ci penseranno la sua lei bambina (sfacciata, devota a un padre sfuggente, terribilmente consapevole) e la sua lei ragazza (vitale, innamorata della vita, giudicata male per la sua libertà, nei mitici anni Sessanta) ad aiutarla a ricordare, “mettendo in scena” i suoi ricordi, facendoli rivivere.
I temi sono quelli cari a Cristina Comencini, il trauma, il rapporto col padre (e con la madre), il viaggio dentro di sé per ritrovarsi, e magari trovare la forza per perdonarsi, la femminilità temuta e “punita”, devastata, da chi vuole dominarla. Ma è tutto troppo detto, illustrato, veicolato da simboli pesanti e un po' ridondanti, per essere davvero un “thriller dell'anima” o un “thriller dell'inconscio”, come la stessa regista ha definito il suo film.
Sì, l'inconscio c'è, appare dentro un controcampo, una visione trasognata più vera del reale (quella parte dell'anima, giovane, che non ha potuto realizzarsi), diventa un movimento di macchina che annulla lo sfasamento temporale, e si realizza in un dialogo tra sé e sé, che torna a raccontare le ipocrisie, le nevrosi, la mortificazione di un ambiente oppressivo altoborghese (militare). A partire da metà film c'è anche il thriller, quando Adam comincia ad assumere connotati inquietanti, e il divagare di Alice oltre lo specchio sembra finalmente prendere una traiettoria definita, un percorso nel labirinto che lo spettatore è in grado di apprezzare.
Ciò che manca è l'anima, la capacità di mostrare più che spiegare, di far sentire l'emozione di quel percorso interiore, di comunicare la sua verità, il senso. Il film vive di sprazzi, si rianima con la vitalità della bambina e della ragazza, ma finisce per appoggiarsi al dialogo sentenzioso, alla “frase bella”, alla “bella inquadratura”, anche quando non c'è un vero perché, togliendo respiro alle immagini e anche agli interpreti, che a volte non sembrano credere a ciò che stanno dicendo o provando. Lo spettatore percepisce chiaramente questa distanza, e alla fine non crede neanche per un attimo a ciò che sta guardando.
Napoli, anni Novanta. Alice (Giovanna Mezzogiorno), 40 anni, rientra dall’America dopo una lunga assenza. È morto il padre. Alice si ferma nella casa di famiglia, disabitata: con la sorella (Barbara Ronchi) hanno deciso di venderla, e occorre svuotarla degli oggetti di una vita, di tante vite. Ma, inaspettatamente, Alice scopre che la casa è abitata da una ragazza giovane e bellissima (Beatrice Grannò). Con lei inizia un dialogo intenso, come sembra promettente anche il legame che si crea con Marc (Vincenzo Amato), un uomo affascinante e gentile incontrato alla commemorazione del padre. Per Alice si schiude un mondo nuovo, intrigante e pericoloso, che apre squarci sul suo passato e sulla sua esistenza.