Asaph Polonsky

Una settimana e un giorno

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Eyal Spivak e sua moglie Vicky stanno per tornare alla quotidianità. Dopo aver trascorso la rituale settimana di lutto prevista dalla religione ebraica a causa della prematura dipartita del figlio adolescente, salutati gli ultimi amici e parenti, i due coniugi si trovano soli. La difficoltà, come già si intuisce, è quella di ripartire, di riprogrammare la propria esistenza facendo i conti con l’assenza del figlio: come uscire dal dolore e dal lutto?

Una settimana e un giorno, opera prima di Asaph Polonsky, cittadino americano ma israeliano d’origine, è un lavoro che si muove su un terreno pericoloso: scegliendo di mettere in scena l’esperienza della perdita e l’elaborazione del lutto i rischi sono sempre molti, soprattutto se si tratta di un lavoro d’esordio. Tuttavia, accanto alla serietà della tragedia, quasi a volerne fare da contraltare, il regista opta per uno stile tragicomico, scanzonato, divertente che, nel prendersi poco sul serio, ci fa capire quanto l’ironia e la leggerezza possano essere buoni antidoti all’angoscia e alla tristezza.

I due coniugi iniziano affrontano il giorno dopo la settimana di rammemorazione e lo fanno in due modi completamente differenti. Vicky si sforza di tornare alla normalità, come se niente fosse accaduto: si reca alla scuola dove lavorava tentando, invano, di allontanare senza preavviso il supplente (dando vita ad una piacevole scenetta basata su incomprensioni e non detti), prende appuntamento dal dentista e svolge le principali faccende domestiche. Sebbene la perdita di una persona cara implichi inevitabilmente la distruzione della realtà della vita quotidiana, Vicky sembra insensibile al dolore e lo stoico tentativo di continuare a vivere come prima non è altro che un maldestro e fallimentare tentativo di elaborare il terribile lutto. Tutt’altra strada è percorsa dal marito Eyal il quale, dopo un primo momento di apatico scoraggiamento, grazie alla spregiudicata e beffarda complicità di Zooler, figlio degli odiati vicini, riscopre tanto la ricchezza dell’esistenza quanto la possibilità di ripartire su basi nuove.

È proprio seguendo le disavventure comiche e nello stesso tempo tragiche dell’irsuto cinquantenne che il film rivela la propria intelligente leggerezza: senza alcuna velleità psicanalitica, il regista mostra come, per il padre, l’elaborazione del lutto avviene tramite un’iniziazione ludica alla vita dove il dolore viene accompagnato alla possibilità, quantunque remota e difficile da accettare, di poter continuare a gioire. La solitudine e la rabbia del protagonista sono addolcite proprio da Zooler che, complice un’energia infantile e trasognata, riesce a incrinare il temperamento rude di Eyal, dando vita ad una serie di gag capaci di strappare più di una risata.

Candidato alla Caméra d’or a Cannes 2016 e vincitore di diversi Israeli Academy Awards, Una settimana e un giorno è un film delicato che affronta con il sorriso una vicenda di per sé tragica e dolorosa. In conclusione, è d’obbligo segnalare una delle più poetiche scene di mimo viste negli ultimi anni, a testimonianza che la bellezza, nel cinema, è sempre pronta ad esplodere.

Una settimana e un giorno
Israele, 2016, 98'
Titolo originale:
Shavua ve Yom
Regia:
Asaph Polonsky
Sceneggiatura:
Asaph Polonsky
Fotografia:
Moshe Mishali
Montaggio:
Tali Helter-Shenkar
Musica:
Ran Bagno
Cast:
Jenya Dodina, Shai Avivi, Tomer Kapon
Produzione:
Black Sheep Film Productions, Rabinovich Film Fund Cinema Project, Reshet Broadcasting
Distribuzione:
Parthenos

Dopo la rituale settimana di lutto della tradizione ebraica, in seguito alla morte del figlio, una coppia di cinquantenni, Eyal e Vicky, deve trovare la forza di andare avanti. Vicky cercherà di farlo riprendendo la routine quotidiana, mentre Eyal stringerà un strano e folle rapporto d'amicizia con il figlio degli odiosi vicini di casa, trovando un po' alla volta, e in modo tragicomico, la via della liberazione dal dolore.

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