Per chi scrive Leonardo Pieraccioni – detto Leo tra i fanne - un’era fa ha centrato due film, ovverosia I Laureati e Il Ciclone: citando una sua battuta si potrebbe sostenere malignamente che dal 1997 a oggi gli altri “fanno volume”.
Il simpatico toscanaccio infatti ha giocato la sua carriera su una maschera ripetuta enne volte attraverso intrighi a nucleo narrativo costante: il medioman fragile sbanda nell’imprevisto e alla fin di tutti i guai trova o ritrova l’Amore.
Un Fantastico Via Vai non divaga granché dallo schema: abbiamo l’impiegato in crisi con la moglie, l’equivoco scatenante, la fuga momentanea condita da frizzi e lazzi (affidati alla coppia Battista-Margiocca) nonché il ritorno all’ordine coniugale.
Onde evitare la “sindrome del bischero” Pieraccioni sceglie un ruolo di “fratello maggiore” e abbozza un gruppo di universitari fuori sede tanto credibili quanto spenti da caratterizzazioni regionali in stile Commedia dell’Arte trendy: la coatta romana morbosamente attratta da vecchi e regazzini; il mulatto pulitino di Perugia con fidanzata rampolla dell’imprenditore razzista Giorgio Panariello; il chirurgo con la fobia del sangue; la ragazza madre sicula che teme i genitori.
Leo gira “tentando di smussare gli angoli” con lo scopo dichiarato di piacere nel nome di una carineria glicemica e fiabesca: per combattere la xenofobia e l’ottusità servono solo “un po’ di coraggio in più” e la voglia di buttarsi, tanto al momento opportuno con una festicciola di compleanno e una Caravella di cartapesta diventiamo poetici a puntino evvia.
L’autocitazione dell’esordio fa quasi tenerezza, così come intenerisce il fool Ceccherini che avrebbe in dote la forza contadina d’un Monni ma accetta di indossare il morso per compiacere l’amico nel tributo natalizio al botteghino.
C’è pure la canzone La risata di mia figlia e sui titoli di coda sentiamo la risata della figlia Martina in una paraculata da segnalare al Telefono Azzurro.
Il film scorre impalpabile come una sorsata d’acqua liscia per la gioia infinita della Film Commission di Arezzo e degli sponsor ficcati a forza ovunque.
Forse per emanciparsi da Levante il fiorentino dovrebbe cambiare radicalmente genere producendo un horror sui cannibali maremmani o un erotico con Papaleo stalliere focoso: in alternativa potrebbe mettere le sue doti d’interprete “leggero” al servizio di un regista che accenda la sua recondita malinconia gucciniana.
Pensaci Leo: noi ti si porta i baci.
Arnaldo, Anita e le due gemelle Martina e Federica, ecco la famiglia Nardi. Una tranquilla e normalissima famiglia medio borghese. L'uomo è in quella fase della sua vita dove la nostalgia per il periodo da studente si fa forte. Sarebbe bello poter tornare indietro. Sarebbe bello riassaporare quei momenti. Sarebbe bello anche raccontare a qualcuno che ha poco più di vent'anni che nella vita bisogna credere ai proprio sogni e non avere paura. Magari arrivando anche a rubare una caravella di Cristoforo Colombo, come ha fatto lui, e spiegare le vele al vento per poi fermarsi solo quando...rubare una caravella di Colombo? Un equivoco con la moglie e la donna lo butta fuori di casa! Questa è la sua grande occasione per una personalissima "macchina del tempo". L'uomo, infatti, decide di andare momentaneamente a vivere in una casa di studenti: sono quattro, hanno tutti poco più di 20 anni e l’uomo da un giorno all’altro rivive con loro quell’età, quelle speranze, quei dubbi che “purtroppo” lui non sembra avere più. Due mondi a confronto, due modi di vedere il futuro, un unico obiettivo: ritrovare quella caravella rubata... se davvero c’è.