Tutti i bambini crescono, spiega la voce narrante nella scena iniziale del film. Alcuni diventano adulti senza quasi accorgersene, come un impercettibile cambio di clima; altri invece, i bambini selvaggi, i wild ones, non ci stanno, e allora scappano. È quello che decide di fare il giovanissimo Thomas, che scivola di nascosto fuori dal diner e scompare, veloce come un treno in corsa. L’unica ad assistere a questa improvvisa fuga/sparizione è la piccola Wendy (la voce narrante è la sua), figlia della proprietaria di quel locale che sorge vicino alle rotaie, sperduto nel profondo sud degli Stati Uniti.
Fin dall’inizio del suo secondo lungometraggio, il regista Benh Zeitlin sceglie (e ci riesce) di osservare il mondo dalla prospettiva di un personaggio e ancora una volta si abbassa ad altezza bambina: se nel suo esordio, Re delle terre selvagge, aveva affidato il voice over a Hushpuppy, in Wendy lascia che sia la protagonista, da cui il film prende nome, a raccontare una nuova versione di Peter Pan. Del romanzo per ragazzi di J.M. Barrie, Zeitlin, insieme alla sorella sceneggiatrice, mantiene l’idea centrale del confronto tra infanzia ed età adulta, e il desiderio di prolungare all’infinito la prima per sfuggire alle incombenze e i doveri della seconda.
Inoltre, ne recupera alcune suggestioni – l’Isola che non c’è, i bambini sperduti, Capitan Uncino –, adattandole però a un contesto narrativo completamente diverso, anche rispetto al classico Disney. Non più Inghilterra di primo Novecento, ma Stati Uniti sospesi in un tempo imprecisato; non più voli notturni nel cielo di Londra, ma vagabondaggi avventurosi tra treni merci e barchette a remi; niente seconda stella a destra né isole lussureggianti con fate e sirene, ma terre selvagge che sorgono impetuose e vitali in mezzo al mare.
La bella trasposizione di Zeitlin, più sporca e tellurica, sembra ambientata nello stesso spazio del suo primo film, dove la wilderness regna sovrana e la Natura fa sentire la sua presenza. Anche in Wendy l’isola popolata dai bimbi sperduti è una terra vulcanica che sembra viva, luogo al contempo ancestrale e degradato, dove l’abbandono (la desolazione, le baracche, i relitti) rappresenta anche la possibilità di un nuovo incontro con la natura. L’isola schiude i suoi segreti a chi ha scelto di non crescere e a loro mostra meraviglie e racconta leggende, storie fantastiche che restano impresse sulla roccia sotto forma di incisioni rupestri, molto simili ai tatuaggi sulla gamba della donna in Re delle terre selvagge.
Il confronto tra i due lungometraggi di Benh Zeitlin viene spontaneo, giacché uno richiama l’altro. Si scoprono rime e corrispondenze, tra le due eroine Hushpuppy e Wendy, tra due mondi i cui protagonisti sono i bambini, tra luoghi che si collocano a metà strada fra l’infanzia e la vecchiaia, fra l’umano degrado e la natura selvaggia, dove la materia della realtà è plasmata dall’immaginazione.
Una ragazza di nome Wendy viene rapita e portata in un ecosistema distrutto in cui una sostanza misteriosa riesce a spezzare il legame tra l'invecchiamento e il trascorrere del tempo. Wendy dovrà lottare per salvare la sua famiglia, la sua libertà e il suo spirito dall'imminente e letale pericolo del "crescere".