Quando un film o una serie si occupa di scavare nel passato, la prima domanda che bisognerebbe farsi è quale sia l’urgenza di raccontare nel presente una storia dimenticata. In questo caso, quella di James Garfield, inatteso presidente degli Stati Uniti rimasto in carica per soli sei mesi, nel 1880, prima di essere ucciso da Charles Guiteau, psicotico attentatore, altrettanto dimenticato, lontanissimo dalle infauste celebrità di John Wilkes Booth (Lincoln) o di Lee Harvey Oswald (Kennedy). La risposta potrebbe trovarsi nel prologo di Death by Lightning, miniserie in quattro episodi distribuita da Netflix dal 6 novembre e creata da Mike Makowsky (al suo attivo la sceneggiatura di Bad Education, per HBO), precisamente in uno dei tanti sproloqui di Charles Guiteau, rivolto alla corte che lo ha appena condannato per truffa: «Non siamo forse una nazione costruita interamente da furfanti, immigrati e liberi pensatori? Qui e solo qui un uomo può essere chiunque. Può fare fortuna. Può influenzare milioni di persone con le sue parole e le sue azioni, facendo risuonare il suo nome nei secoli. Non un peso, ma una risorsa. Diamine, nelle giuste condizioni, quell’uomo potrebbe persino diventare presidente». Via con i titoli di testa.

Un inizio quanto meno programmatico. That’s America. E Death by Lightning racconta uno dei quattro omicidi di Stato (dell’Unione) per sottolineare il valore del caso e della memoria, di tutto ciò che c’è di aleatorio nell’elezione di un presidente che avrebbe potuto essere amato dal popolo americano per il suo annunciato (che fa rima con accennato, per via della fine prematura) riformismo e che invece, come dice tra le lacrime ma a muso duro la stessa moglie di Garfield all’assassino di suo marito pochi istanti prima che questi muoia per impiccagione, si è trasformato in una piccola nota a margine nel grande libro della Storia. Un atto violento che, a sua volta, sempre attraverso i giochi della sorte, ha aperto la strada a un presidente per caso come Chester Arthur (e come lo fu, di fatto, anche Lyndon Johnson), a cui la Presidenza diede l’occasione di mondarsi della corruzione clientelare compiuta come galoppino del senatore Roscoe Conkling. Le giuste condizioni, per l’appunto.
Occhieggiando in modo nemmeno troppo nascosto all’attualità, come abbiamo visto, le quattro puntate mettono a confronto con un buon grado di attendibilità storica l’ascesa improvvisa e imprevista di Garfield, partito per la convention repubblicana di Chicago soltanto per perorare la causa del senatore John Sherman, fratello minore del più celebre William Tecumseh, eroe della Guerra civile, e trovatosi prima vincitore delle primarie (dopo 36 votazioni), pur non essendo candidato, e poi addirittura Presidente; e, dall’altro lato, il tentativo velleitario di scrivere il proprio nome in qualcosa di grande dell’assassino Guiteau, sempre presente al posto giusto ma tutte le volte inopportuno e inquietante nel tentativo di sfruttare le occasioni. In una costruzione in parallelo, venata da alcuni flashback che in maniera insolita (nelle serie) non puntano a un auspicabile pay-off, quanto a riempire la sostanza biografica dei personaggi, il lavoro di Makowsky, diretto in tutti gli episodi da Matt Ross (il regista di Captain Fantastic, di ormai nove anni fa), ha nel lavoro degli attori il suo valore maggiore.

Il Michael Shannon che dona mole e maschera sorniona a James Garfield è una presenza equilibratrice, pacata, che privilegia l’understatement, lavorando essenzialmente con l’espressività di uno sguardo che esprime serenità, distensione, umanità e quindi visione politica. Il contraltare è rappresentato da Matthew MacFadyen (Succession) nei panni dell’oltraggioso Guiteau, sempre sopra le righe, eccessivo, persin fastidioso nello sforzo di attribuirsi incauti meriti dalla spregiudicata azione personale. Personaggio, tra l’altro, preda di un aperto conflitto, una sorta di ossimoro interiore per cui i modi affettati ed eloquenti si scontrano costantemente con abiti lisi e un aspetto allucinato, dalla pelle sebacea e gli occhi liquidi, pronti a traguardare la realtà e a perdersi in una visione illusoria. Il personaggio di Guiteau, grazie a MacFadyen, ruba la scena a ogni altra figura presente nel cast (di cui fanno parte anche Shea Whigham nella parte del corrotto senatore Conkling e Nick Offerman, corpulento Chester Arthur, dissoluto e cinico fino alla folgorazione sulla via di Damasco della correttezza politica alla morte di Garfield), generando una contraddizione nell’animo dello spettatore fatta di repulsione per i suoi scopi e attrazione per la sua performance attoriale.
In una serie in cui manca un reale senso della tensione narrativa (per quanto persa nella memoria storica, chiunque, anche in Italia, sa della tragica fine di Garfield, perlomeno come rilievo statistico nella Storia della Presidenza americana) e in cui l’accurata messa in scena si preoccupa più di illustrare fedelmente che di generare apprensione, è proprio la costruzione dei personaggi a rappresentare il motore dell’intero racconto. Mentre alcune pennellate dedicate alla popolazione di colore (ad esempio la scena in cui le illuminate avvertenze del medico nero su come intervenire sul corpo del Presidente ferito sono ignorate proprio a causa del suo colore della pelle) sono un’ulteriore concessione a quella contemporaneità a cui la serie è rivolta. Quella stessa contemporaneità in cui le giuste condizioni si sono verificate e stanno mostrando tutte le loro conseguenze.
USA, 1880. James Garfield è un politico Repubblicano onesto e riflessivo. Diventerà il 20° Presidente degli Stati Uniti d'America ma il suo mandato sarà uno dei più brevi della storia della presidenza americana, terminando con un colpo di pistola letale.