Dopesick – Dichiarazione di dipendenza è una serie televisiva importante, lasciando da parte per una volta la parola necessario. È un esempio cristallino, lucido, tradizionale e comunque complesso di come si possa ricavare intrattenimento dall’informazione, dramma dalla cronaca, investendo nel proprio pubblico in termini di conoscenza, desiderio di denuncia e pensiero critico.
Del resto Dopesick affronta un tema particolarmente urgente: l’epidemia di oppiacei per la quale negli Stati Uniti sono morte più di 500mila persone negli scorsi due decenni, e il ruolo che l’azienda farmaceutica Purdue Pharma (e la famiglia che ne detiene il controllo, i Sackler) ha avuto in questa tragedia distribuendo, su vasta scala e attraverso campagne commerciali aggressive e menzognere, il suo oppioide di ultima generazione, Oxycondin. Il dibattito pubblico a riguardo è più vivo che mai, tra iniziative legislative e attivismo civile, coperture giornalistiche e prodotti mediali, con podcast, libri, inchieste, documentari e servizi che in questi ultimi anni stanno ricostruendo e seguendo la vicenda, tuttora in corso nelle sue implicazioni legali.
Dopesick quindi va a inserirsi dentro un ecosistema già ben nutrito e variegato, una sfera discorsiva alla quale contribuisce offrendo un racconto corale che bilancia la dimensione legal-thriller della costruzione del caso all’esemplificazione della tragedia collettiva attraverso parabole individuali che agiscono sul piano umano, epitomi di come e quante vite siano state stravolte dall’accesso a un farmaco spacciato fraudolentemente come rivoluzionario in quanto capace di innescare poca o nessuna dipendenza.
Realizzata da Danny Strong – sceneggiatore per Jay Roach dei film tv HBO Recount e Game Change – Dopesick nasce come adattamento di uno dei libri che in questi anni sono usciti a descrizione e inquadramento del fenomeno (Dopesick: Dealers, Doctors, and the Drug Company That Addicted America, di Beth Macy) e come detto trova il suo punto di forza nell’ottimo bilanciamento di privato e pubblico, intimo e istituzionale, mostrando in particolare quanto sia determinante l’azione del singolo nonostante dall’altra parte del ring ci siano multinazionali e corporation fortemente colluse con il potere politico.
L’epidemia degli oppioidi del resto, e la fortuna di Oxycondin in particolare, è spiegabile solo come il risultato di un sistema – economico, politico, normativo e giudiziario – che collassa nel suo insieme, fallendo organicamente. Gli errori, gli interessi incrociati, le promesse sottobanco e le minacce sono talmente ampie e sistemiche che per tenerne traccia la serie si trova costretta a mettere in campo un andamento oscillatorio avanti e indietro nel tempo, ben più di complesso delle classiche due linee narrative in avvicinamento tra loro.
Nel corso di ogni episodio si alternano almeno tre o quattro livelli cronologici e ognuno di questi è dotato di una sua dinamica interna, un suo andamento e un nucleo narrativo, se non un vero e proprio sottogenere di riferimento. Senza ambizioni cinematografiche o grandi investimenti produttivi, Dopesick concentra così le sue attenzioni su quel che resta oggi della cosiddetta complex television, ovvero quel percorso di alfabetizzazione del pubblico verso forme di narrazione via via più complesse e ambiziose infarcite di salti temporali, variazioni di registro, cast corali di personaggi. Sembra strano collegare una serie come Lost a Dopesick, ma resta il fatto che un intreccio così elaborato è frutto di quella stagione e quelle innovazioni, e ora che la polvere sollevata dalla second golden age of television (o third, in base ai modelli adottati) si è posata a terra, spetta a serie come Dopesick il compito di applicare questa nuova dimestichezza a narrazioni altrimenti classiche, ancorate a un modo tradizionale di intendere il racconto per immagini come strumento di informazione e denuncia sociale.
Senza dimenticare, in questo processo, le stoccate che dall’interno della storia si possono indirizzare non solo alla collusione imprenditorial-legislativa del sistema ma all’impianto ideologico complessivo di una nazione e cultura sempre più intente a professare l’evitamento del dolore, la rimozione del suo ruolo nello stadio della crescita, la negazione della funzione finanche educativa, progressivamente gnoseologica, per sé stessi e la percezione degli altri, che la sofferenza ha nell’agire come esseri umani. Non a caso la prima sconfitta di Richard Sackler dopo la diffusione forzata del suo farmaco per gli Stati Uniti – operazione classista che inizia appositamente dalla classe operaia della Rust Bell, tra ceti più vulnerabili e miniere in progressivo stato d’abbandono – è il non riuscire a far accettare l’Oxycondin come blando antidolorifico in Germania, a causa del fatto culturale per cui «i tedeschi non credono negli oppioidi, credono che il dolore faccia parte del processo di guarigione».
Gli Stati Uniti, inoltre, sono il paese della sanità come valore di mercato, e in questo contesto la maggior parte delle persone soggette a lavori fisicamente debilitanti conosce la sola necessità di funzionare, di rialzarsi in piedi ogni mattina per produrre, consumare e crepare, diceva qualcuno. Privi di coperture assicurative adeguate, molti dei personaggi intravisti nella serie non hanno strumenti e diritti a cui appellarsi, e in quest’assenza di welfare l’unica soluzione per andare avanti è l’anestesia, il narcotico intorpidimento dello strazio fisico, la dipendenza.
Il proliferare dell’addiction è l’altro grande tema di Dopesick, che intelligentemente mostra quanto catastrofico e profondamente tragico sia immettere nel contesto sociale un tale livello di sostanze a disposizione di una cittadinanza ignara: vicini di casa, amici, colleghi, partner, è bastato spesso un incidente domestico, una frattura da sport, un mal di denti o una tendenza all’emicrania cronica per finire dipendenti da Oxycondin, e quel che ne segue è un progressivo disgregamento delle relazioni, delle dinamiche di lavoro, della salute e sanità mentale, mentre il corpo precipita nella ricerca tossica di forme oppioidi più economiche (eroina) e la difficoltà nel reperire e pagare la droga innesca una spirale criminale fatta di rapine, spacci, aggressioni, prostituzione, overdose. Come se il tessuto, sociale e dell’Io, non fosse che una sottile membrana, e a separarci da una dimensione di degrado e disagio estremi, a volte, non sia che un dolore, e un’assunzione scriteriata.
Una grande compagnia farmaceutica lancia un farmaco oppioide con la premessa che non crea dipendenza. Presto una piccola comunità di minatori in Appalachia comincia a prendere la droga, senza mai sospettare che ne diventeranno assuefatti.