«Questa è una storia vera. I fatti esposti sono accaduti a Kansas City, Mo, nel 1950. Su richiesta dei superstiti, abbiamo usato dei nomi fittizi. Per rispetto delle vittime, il resto è stato riportato così come accaduto».
È la didascalia con cui si apre ogni episodio. Incipit che ormai è diventato un marchio di fabbrica, perché ogni stagione di Fargo, dal 2014, si presenta così, con questo espediente preso in prestito dal film originale di Joel e Ethan Coen per convincere lo spettatore che è tutto reale. Reale, anche se a tratti assurdo e crudele ai limiti dell’incredibile. Eppure è accaduto. Alla sua quarta stagione, la serie tv ideata da Noah Hawley non perde lo spirito grottesco e surreale del film a cui è ispirata, l’omonimo cult con cui i fratelli Coen vinsero l’oscar per la miglior sceneggiatura originale nel 1997. E, anche se si tratta di una serie antologica con trame e personaggi diversi ogni volta, lo stile è inconfondibile.
La vicenda è ambientata appunto a Kansas City – per la prima volta nel Missouri e non nel Minnesota, terra natale dei Coen – e viene narrata da una ragazzina di colore, Ethelrida Pearl Smutny. Ethelrida in realtà sta esponendo la sua relazione di storia, come esplicita a un certo punto, e in effetti tutto viene raccontato come se si trattasse di un saggio storico, con tanto di date e testimonianze tratte da articoli di giornale: prima c’erano gli ebrei, che agli inizi del Novecento controllavano la malavita. Poi arrivarono gli irlandesi, i Milligan, il clan che nella seconda stagione regnava proprio su Kansas City. Dopo vennero gli italiani, la famiglia sarda dei Fadda, che dovrà contendersi il territorio con gli ultimi arrivati, gli afroamericani.
E dall'Italia viene anche gran parte del cast: Donatello Fadda, il capofamiglia, è Tommaso Ragno, mentre il sicario Constant Calamita è Gaetano Bruno, entrambi tra i protagonisti di 1992. Francesco Acquaroli, che ha già vestito i panni del gangster capitolino in Suburra, è il fidato consigliere Ebal Violante. Persino Jason Schwartzman, che interpreta il figlio maggiore Josto Fadda, ha origini italiane. Poi, direttamente dall’universo seriale di Gomorra, c’è Salvatore Esposito che impersona Gaetano, il fratello minore. Una caricatura del mafioso, con gli occhi spiritati e quel ringhio in gola che da Marlon Brando in poi è sinonimo di godfather. Un’ex camicia nera, pronto a cambiare casacca non appena la dittatura fascista è finita, la cui unica fede è la trinità «business, famiglia, paese». E se «ammazzare è business», non c’è vita che valga la pena risparmiare. E in effetti i morti ammazzati non mancano, quasi sempre uccisi in modo bizzarro o gabbati da una singolare beffa del destino. Poi ai funerali ci si consola con le seadas. Fargo è così: ciò che fa ridere qualcuno, fa rabbrividire qualcun altro. E tra il macabro e il ridicolo non c'è quasi mai soluzione di continuità.
I Fadda entrano in conflitto con i neri di Loy Cannon. Tra patti di sangue e tradimenti, è una guerra di immigrati: nessuno di loro è bianco, sono tutti dagos, negros e micks. Ognuno che lotta per il suo pezzo di torta. O meglio, per il diritto di essere uguali. «Ma uguali a cosa?» si chiede la voce narrante della ragazzina. «E chi è che lo decide? La storia è fatta dalle azioni degli individui. Eppure nessuno di noi, mentre sta compiendo l’azione, può sapere che sta compiendo la storia». Ethelrida è seduta sull'autobus nel colored sector. Si alza e scende. Nel tempo della storia di Fargo è il 1950. Cinque anni dopo, nel tempo della storia, quella vera, Rosa Parks rifiuterà di cedere il suo posto a un bianco.
Di storia americana ce n'è tanta in questa quarta stagione, soprattutto quella degli emarginati. C’è la tratta dei degli schiavi, arrivati nel nuovo continente sulle navi dei negrieri che continuano a perseguitare i discendenti facendo stridere le catene. C'è la discriminazione dei nativi americani, ora in cerca di rivalsa attraverso la canna di una pistola come Swanee Capps, rapinatrice di banche insieme alla sua amante Roulette. Ma, come giustamente si chiede la protagonista di colore, “Se l’America è una nazione di immigrati allora... come si diventa americani?”
È questo l’interrogativo morale che emerge dalla visione. Fargo pone domande, alcune anche piuttosto ingenti, ma lo fa con totale disinvoltura. Anche perché a suscitarle è, quasi sempre, uno dei tanti personaggi strambi e un po' borderline, come Oraetta Mayflower, l’inquietante infermiera che trae godimento dal potere di vita e di morte sui suoi pazienti. Calco cinematografico di innumerevoli «angeli della morte», la categoria di serial killer con la medesima perversione. O come Rabbi Milligan, strano ibrido ebreo-italo-irlandese. O ancora, il poliziotto con il disturbo post traumatico da stress, l'uomo di legge mormone che pasteggia a carne essiccata e via dicendo. Un teatrino di freaks che si trova pienamente a suo agio nell’atmosfera kafkiana della serie. Atmosfera sempre un po' fumosa, in cui il contrasto dei toni dominanti del verde e del rosso mette in risalto i momenti più densi della narrazione. Lo stile di regia asseconda i punti di vista dei protagonisti: soggettive stravaganti e inquadrature inaspettate non sono che il riflesso del loro stato d’animo. I generi si mescolano, la legge del far west è immersa nelle ombre del noir che talvolta assume le caratteristiche dell’horror. Spesso la messa in quadro si frammenta nello split screen e le scene diventano le vignette di un fumetto. La musica popolare americana di quegli anni – rockabilly, country, blues – accompagna il racconto, anche e soprattutto quando lo spettacolo è raccapricciante.
Fargo, che esiste realmente - è una cittadina del North Dakota - è molto di più di una serie. È una realtà parallela alla nostra, fatta di strani soggetti e momenti irripetibili. Un mondo imbevuto di black humor e di fatalità. Un mondo che a volte, e neanche troppo di nascosto, rischia di venire in superficie.
1950, Kansas City, Missouri. Nella terra dei sogni che diventano realtà, due gruppi criminali fanno un patto per spartirsi i vari affari illegali della zona. Da una parte ci sono gli italoamericani, capitanati da Donatello Fadda, dall’altra gli afroamericani, capitanati da Loy Cannon. Da una parte le conseguenze marce dell’immigrazione di origine europea, precisamente mediterranea, dall’altra le conseguenze marce delle migrazioni interne al Paese, dal Sud governato dalle Leggi Jim Crow al Nord più libero e un filo meno razzista. Tutti determinati a mettere le mani sulla propria fetta di torta. Per cementare la tregua, il nero Loy Cannon e l’italiano Donatello Fadda ricorrono a un’usanza piuttosto in voga in città dall’inizio del Novecento: si “scambiano” i figli minori. Il giovane Satchel va così a vivere con i wop, mentre l’altrettanto giovane Ziro va a vivere con i mulignan.