"Perché cos'è la storia? [...] La storia è tutto ciò che accade dappertutto. Anche qui a Newark. Anche qui in Summit Avenue. Anche quello che succede in casa a un uomo qualunque: anche questo domani sarà storia." Philip Roth, Il complotto contro l’America.
Philip Roth, lo scrittore statunitense scomparso nel 2018 e considerato uno fra i più importanti romanzieri ebrei di lingua inglese (secondo il critico Harold Bloom il maggiore dopo William Faulkner), pubblica nel 2004 il romanzo ucronico Il complotto contro l’America (Einaudi), potente e minaccioso affresco sociale sulle possibili conseguenze derivanti dalla sconfitta di Franklin D. Roosevelt alle elezioni presidenziali del 1940. A prendere il suo posto, nell’allegoria di Roth, è un nuovo paladino del popolo zeppo di demagogia e retorica, quel Charles Lindberg ex-aviatore e - tra il 20 e il 21 maggio 1927 - primo trasvolatore dell’Oceano Atlantico sul leggendario monoplano “Spirit of St. Louis”, che con le sue simpatie per il nazismo sprofonda l’America nel baratro della dittatura.
Dal romanzo è derivata la miniserie televisiva in sei episodi firmata dagli sceneggiatori David Simon ed Ed Burns (già collaboratori nell’altra serie di successo The Wire, ambientata nel mondo del traffico della droga), prodotta dal canale televisivo americano HBO. È giocoforza, a questo punto, istituire un collegamento tra l’opera di Roth, la sua trasposizione televisiva e gli ultimi, drammatici avvenimenti che hanno coinvolto gli Stati Uniti, con l’assalto a Capitol Hill da parte di frange estremiste filo-trumpiane: un non così peregrino esempio della capacità prefiguratrice della cultura e dell’arte. Così come è impossibile non ravvisare nell’apparentemente innocuo, populista e seduttivo (quanto meno in campagna elettorale) Lindberg, il Donald Trump carismaticamente attraente dell’“America First”, del taglio delle tasse ai contribuenti e del protezionismo.
Fulcro della storia, ambientata all’inizio degli anni Quaranta, è la tranquilla famiglia ebrea dei Levin di Newark, nel New Jersey: l’assicuratore Herman (Morgan Spector), la moglie Bess (Zoe Kazan), dapprima casalinga e poi costretta ad accettare un lavoro fuori casa per sbarcare il lunario, i due figli Sandy (Caleb Malis), adolescente con la passione per l’arte e - non a caso - per Lindbergh, e Philip (Azhy Robertson). I Levin conducono una vita modesta ma serena, tenacemente convinti che nulla e nessuno arriverà a turbare la loro quotidianità intessuta di speranze per il futuro, all’ombra di una bandiera americana che si fa garante e simbolo delle libertà democratiche.
«Lindbergh fu il primo celebre americano vivente che imparai ad odiare - proprio come il presidente Roosevelt fu il primo celebre americano vivente che mi insegnarono ad amare - e così la sua nomination da parte dei repubblicani come avversario di Roosevelt nel 1940 rappresentò l'attacco più violento che fosse mai stato sferrato contro quella ricca dotazione di sicurezza personale che io avevo data per scontata come figlio americano di genitori americani in una scuola americana di una città americana in un'America in pace col mondo»: nel romanzo di Roth queste sono le parole di Philip, il più giovane della famiglia e voce narrante (oltre che alter ego dello scrittore, di cui porta significativamente anche il cognome).
La versione televisiva sceglie, invece, un punto di vista corale - per lo più quello dei Levin e della comunità ebraica a cui appartengono - per raccontare la feroce svolta antidemocratica di Lindberg, preceduta da tutta una serie di eventi anticipatori che vengono ampiamente sottovalutati. Il nodo scorsoio che soffocherà i componenti della famiglia Levin, espressione di una buona fetta dell’elettorato progressista, si stringe all’interno della stessa dimensione domestica, tramite la figura di Evelyn (Winona Ryder), la sorella di Bess, che inizia un’osteggiata relazione con il rabbino conservatore Lionel Bengelsdorf (John Turturro), consigliere e sostenitore di Lindberg, di cui è convinto di poter addolcire la politica antisemita. Con un finale ambiguo e decisamente meno aperto alla speranza rispetto al romanzo di Roth, Il complotto contro l’America riflette sulle conseguenze del prevalere di un’ideologia autoritaria, con palese riferimento alla cronaca contemporanea, funestata da nazionalismi estremi e irrazionali. L’interpretazione di Turturro - un rabbino pignolo ma rassicurante nel suo blando aderire alle posizioni lindberghiane - contribuisce, nel gioco di relazioni tra i personaggi, a far emergere il drammatico spaccato di una società alla deriva, proiettata nella sua parziale inconsapevolezza verso un futuro distopico. La fotografia di Martin Ahlgren, dalle sfumature seppia, staglia la messinscena in un orizzonte atemporale, simboleggiando uno dei tanti cortocircuiti della Storia, fossilizzata nella coazione a ripetere dei propri errori.
«Il vero complotto è quello ordito da Trump, che vorrebbe tornare al passato», ha commentato lapidario Turturro. God Bless America.
1940: l’eroe americano Charles Lindbergh sale al potere e porta gli Stati Uniti ad un’alleanza con i nazisti.