(Estratto da “La materia di cui è fatta la storia — Mussolini nella bella serie Sky di Joe Wright” di Emanuela Martini su Cineforum n.16)
[…] In una saletta del Circolo dell’Alleanza industriale e commerciale di Milano, il 23 marzo del 1919 vengono fondati i Fasci di combattimento, racconta Mussolini, il direttore del «Popolo d’Italia» (ex socialista ed ex direttore de «L’Avanti!», espulso dal partito nel 1914 perché divenuto guerrafondaio), uno che dice di essere come le bestie, di sentire il tempo che viene. Il suo tempo. Comincia così, con un capitolo in prima persona, il romanzo di Antonio Scurati M. Il figlio del secolo, uscito nel 2018, più di 800 pagine, Premio Strega nel 2019, centinaia di migliaia di copie vendute, tradotto in tutto il mondo, seguito dagli altrettanto monumentali L’ora della provvidenza, Gli ultimi giorni dell’Europa, L’ora del destino.
La storia dell’Italia e degli italiani attraverso il ritratto dell’uomo dal quale si fecero accalappiare, l’istrione, il megalomane, l’intelligente, ambiziosissimo figlio di un fabbro di Predappio che da maestro divenne giornalista, politico e infine Duce. Solo il primo capitolo è in prima persona, quasi tutto il resto del romanzo è narrato in terza, e ogni capitolo (di tutta la serie) è aperto da un’indicazione di data e luogo e seguito da brevi testimonianze storiche autentiche, brani di lettere, articoli, leggi, discorsi, manifesti ecc… Eppure, durante la lettura sembra sempre di stare dentro la testa di Mussolini, dietro la sua ottica, di percepire con lui il tempo che sta vivendo e quello che sta arrivando, fino a quel finale in Piazzale Loreto che, anticipato nel libro con una sorta di premonizione dall’articolo del direttore del «Popolo d’Italia» sul linciaggio del brigadiere dei carabinieri che nel 1920 aveva ucciso due scioperanti nello stesso piazzale, nella serie M. Il figlio del secolo di Sky arriva in apertura, montato con altri reels d’archivio, dopo la trebbiatura a torso nudo e la folla oceanica di Piazza Venezia. E poi, subito, ecco Mussolini che ci parla, si presenta, si rivolge a noi, ci invita a seguirlo tra le camicie nere nel sinuoso piano sequenza che apre la serie diretta da Joe Wright, otto puntate, un film torrenziale dal quale è difficile staccarsi. Ed è proprio nella costante rottura della quarta parete, nell’ostinato, complice, beffardo dialogo che Luca Marinelli nei panni di Mussolini intrattiene con noi spettatori, chiamati a condividere i suoi pensieri, intrighi, amori, spregi, strategie e inganni, è proprio con questo che il testo filmico riesce a rendere quell’aggirarsi nella mente del Duce che rappresenta la forza dell’originario testo romanzesco.
«Seguitemi», ci dice, «anche voi mi amerete, anche voi diventerete fascisti». E così fu; e noi ci immergiamo in quegli anni (dal 23 marzo del 1919 al 3 gennaio del 1925, dove finisce anche il primo volume di Scurati) durante i quali gli italiani si fecero convincere, sedurre, obbligare ad amare il Duce, la recita, la messa in scena, la guitteria, le parole al vento (ma su questo ci aveva già allenati il Vate, D’Annunzio) spacciate per analisi e teorie politiche, sostenute dalla violenza dei feroci, laidissimi Arditi, dall’appoggio sempre più esplicito della borghesia e dal colpevole silenzio delle istituzioni e del re. Già, perché allora avevamo anche un re. Nel raccontarsi in prima persona, il Mussolini di Luca Marinelli ha momenti in cui non solo sfiora, ma incarna perfettamente quello che più di trent’anni dopo sarebbe diventato il volto per antonomasia dell’italiano medio: Alberto Sordi, mento alzato, occhio un po’ fisso, aria strafottente, sorrisino complice, che tra i “mostri” della nostra gloriosa commedia, è stato il più mostro di tutti. Certo, può essere una somiglianza casuale, ma potrebbe anche essere una “invenzione” interpretativa dello stesso Marinelli, che va dritto al cuore dell’ambiguità della figura di Mussolini (vero “faro” del populismo, con un solo balzo passato dal socialismo al fascismo) e della fascinazione che esercitò sugli italiani, in una sorta di identificazione psichica e morale (o immorale) con il personaggio.
E merito anche forse degli sceneggiatori, Stefano Bises e Davide Serino, già entrambi coinvolti in Esterno notte di Marco Bellocchio, che hanno affrontato il testo di Scurati con l’intelligente infedeltà alla lettera che consente la massima fedeltà allo spirito dell’opera, conferendo così una struttura narrativa romanzesca a un romanzo che in realtà è fatto soprattutto di accumulo di dati e di introspezione. E poi c’è la regia, come sempre estrema, barocca, ridondante, quasi incurante di eccessi, discrepanze (che, anzi, ricerca), dilemmi critici e storici. Joe Wright ha detto di aver voluto fare un film esplicitamente antifascista che in qualche maniera cercasse di capire da cosa nasce la tendenza ai fascismi e di aver mescolato avanguardie, L’uomo con la macchina da presa di Vertov, Scarface e altri film degli anni 80 e 90 e la cultura rave di quell’epoca. […]
Wright fonde tutto in un impasto di violenza, ironia, disperazione, complicità, disgusto e ammirazione; anche lui sedotto da un personaggio che detesta e che finisce per odiare. Ribalta (subito e costantemente) la commedia dell’arte in tragedia shakespeariana, si butta a capofitto nelle stanze del potere come nei vicoli delle violenze, lavora di piani sequenza articolatissimi che ricordano il caleidoscopio di Karenina. Fa insomma un cinema barocco, iper-pop ed estremo per raccontare una storia di follia-opportunismo-ignavia collettive che può illuminare anche angoli del presente.
La storia dell'ascesa di Benito Mussolini (e la storia di un Paese che si arrende alla dittatura), dalla fondazione dei Fasci Italiani nel 1919 fino al suo famigerato discorso in Parlamento nel gennaio del 1925, dopo l'omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti.